martedì 13 maggio 2014
Milano, maggio. Una fotografia sguscia fuori da una vecchia scatola mentre metto in ordine nel ripostiglio, e vola a terra con un impercettibile fruscio. È una piccola foto in bianco e nero degli anni Quaranta; mio padre e mia madre appena prima di sposarsi, così giovani, lui magrissimo, prosciugato dal fronte, lei fragile, come una farfalla incredibilmente scampata alle bombe e alla fame. Camminano per il centro di Milano, mano nella mano, e un fotografo di strada, come si usava allora, li ritrae. La potenza della piccola fotografia è grande e mi cattura, mi siedo sul divano e continuo a guardarla. Come fu che quei due, tanto diversi per famiglia ed educazione, si incontrarono? Parma, giugno 1939 (questo mi raccontò mia madre). Mi immagino il caldo torrido, in una sera di luglio. Una corriera piena di ragazzi inizia a risalire le colline dell’Appennino. Vanno a ballare. La corriera è gremita, e molti sono in piedi. A una curva su un tornante particolarmente stretto la corriera sbanda per un secondo. Una ragazza perde l’equilibrio e finisce in braccio a uno sconosciuto coetaneo bruno. È molto bella. Il ragazzo grida ai compagni, esultante: «Vedete? la più bella è caduta in braccio a me». Lei, me la immagino, sorrise e si rialzò, imbarazzata. Lui, in fondo timido, si fece coraggio, e le chiese come si chiamava. Per tutta la sera poi non tolse gli occhi di dosso da quella giovane donna silenziosa, diversa dalle altre che ballavano, spensierate. (Mi pare anche di sentire il profumo inebriante dei tigli, nella notte di tarda primavera). Quei ragazzi non lo sapevano, ma la guerra incombeva. Mio padre sarebbe andato in Grecia con gli Alpini, e poi in Russia, sul Don, con la Julia. E in tutti quegli anni non avrebbe mai smesso di scrivere alla fanciulla della corriera. Quasi una lettera al giorno. Ne ho dei pacchi, in un’altra scatola: la calligrafia nervosa di mio padre che corre sulla carta ingiallita. Sopravvissero alla guerra. Si sposarono, non appena fu finita, e ebbero tre figli. Ma io mi chiedo, rapita dalla piccola foto in bianco e nero, cosa fu, quella sera, a far sbandare il pullman sui tornanti dell’Appennino. Pensa, mi dico, se non ci fosse stato quell’istante io non sarei nata, e nemmeno i miei figli. Chi cuce la trama del nostro destino, segretamente imbastendola con il suo disegno? Da ragazza pensavo: il caso. Ma ora in quella trama invisibile comincio a riconoscere l’impronta di una mano grande e buona; che tesse, tesse costantemente il nostro cammino.
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