Che bello sarebbe tornare noi stessi ragazzini, come ha provato a fare Caparezza. E dirci che ce la faremo a dispetto d'ogni timore. Poi, chissà, magari ci capiterebbe come nella sua canzone: in cui alla fine è il bimbo di ieri, a curare l'inquietudine dell'adulto di oggi. Impossibile? No: è nel potere della musica, nel potere di una (bella) canzone... «Ti riconosco dai capelli, dagli occhi spalancati come i libri di fumetti che leggi, da come pensi che hai più difetti che pregi; dall'invisibile che indossi tutte le mattine, da spalle curve per il peso delle aspettative... Potessi abbattere lo schermo degli anni ti donerei l'inconsistenza dello schermo degli altri; so bene come ti senti ma so quanto ti sbagli... No, non è vero che non sei capace, che non c'è una chiave... Sguardo basso cerchi il motivo per un altro passo, ti fai solitario quando tutti fanno branco; il tuo soffitto è stelle e pianeti, procedi nel tuo labirinto senza pareti... No, non è vero che non sei capace, che non c'è una chiave... Noi siamo la stessa cosa, ci separano solo i calendari; potessi apparirti lo farei, e tu mi diresti... "Io sono sopravvissuto, ho battuto l'orco: tu fai uno sforzo, prenditi il cosmo e... Non aver paura, non è vero che non sei capace, che non c'è una chiave!"».
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