A Winnipeg (Canada) Betty Sanguin, una signora di 86 anni affetta da Sla, ha chiesto e ottenuto che le fosse praticato il suicidio assistito all'interno di un luogo di culto cristiano. È accaduto nella sua Churchill Park United Church, mentre era circondata dai sei figli, ed è stato preceduto da un momento rituale – alla presenza di parenti e amici – che il necrologio definisce «semplice cerimonia di attraversamento» ( bit.ly/3sa6FeV ) e che, a sentirlo descrivere, appare una tappa intermedia, assai difficile da mettere a fuoco, tra un'unzione degli infermi e un funerale. Il fatto risale a quasi due mesi fa ma la notizia è stata data e commentata su vari siti anglofoni dopo Pasqua, e qui in Italia in questi giorni: ieri da Piero Vietti su "Tempi" ( bit.ly/39sPejb ), puntando l'attenzione sulla deriva legislativa in corso in Canada, e il 2 maggio da Giovanni Marcotullio su "Aleteia" ( bit.ly/3s4nx6T ). Quest'ultimo prima di tutto riferisce della preparazione e dello svolgimento della cerimonia. Poi, con il consueto rigore e in un crescendo di partecipazione, offre un ventaglio di riflessioni che comprendono l'autentico profilo cristiano della signora Sanguin, le motivazioni con le quali la famiglia e la comunità hanno aderito alla sua richiesta, il dibattito interno alla galassia riformata pro/contro il suicidio assistito (che in Canada è legale dal 2016), il «magistero del dolore» di Giovanni Paolo II. Con la consapevolezza – maturata da Marcotullio anche leggendo qui su "Avvenire" gli "Slalom" di Salvatore Mazza ( bit.ly/37V13OY ), fratello nella malattia di Betty Sanguin – che davanti alla stanchezza, alla tristezza, al dolore del male altrui che si aggrava, siamo «come pozzanghere accanto ad abissi», e più delle nostre parole conta il filo, più o meno grosso, che ci lega a questi sofferenti, «fatto di affetto e di pudore, di prossimità e di distanza».
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