Passavo sulla spiaggia, dove si ritira l’onda. Ho sentito una bambina dire a suo padre: «Papà, guarda come scrive bene questa penna». Con un bastoncino aveva inciso il suo nome sul bagnasciuga.
La voce raccolta di sfuggita mi ha scaraventato lontano. Il suo nome scritto sulla sabbia: non le importava quanto sarebbe rimasto prima di essere cancellato. Le piaceva che fosse scritto bene.
Anche senza inchiostro aveva usato una buona penna. La frase di quella bambina inventava sul momento un’antica lezione di filosofia. Per quanto poco resti, scrivi bene il tuo nome. Sarà una firma anonima tra le innumerevoli, ma sarà stata scritta bene.
La specialità stava in quel “come”: come scrive bene questa penna. Il suo “come” conteneva la maniera, la cura, la precisione, il garbo, riassunti dalla sua voce appena sopra lo scroscio delle onde.
Il “come” era importante quanto il nome. E giusto era rivolgersi a suo padre che non aveva visto né saputo prima di quel momento com’era scritto bene il nome di sua figlia. Mi allontanavo. Intanto la sua frase cominciava a trovare spazio dentro di me e dopo su un quaderno.
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