«Salimmo sù, el primo e io secondo, / tanto ch'i' vidi de le cose belle / che porta 'l ciel, per un pertugio tondo. / E quindi uscimmo a riveder le stelle» (Inferno XXXIV, 136-139). In questi eloquenti versi di Dante si coglie un messaggio universale: dopo ogni asperità, torna la luce. È la citazione che più spesso ho utilizzato nelle celebrazioni in carcere in questo periodo, per non spegnere la speranza che prima o poi avrà fine anche «la notte oscura» della prigionia, resa ancor più pesante dalla pandemia.
L'anno scorso i giorni in prossimità del Natale erano resi un po' meno pesanti dalla possibilità di incontrare nell'area verde i propri familiari. Anche i presepi all'interno venivano preparati con maggior entusiasmo, anche perché c'era una sorta di gara tra reparti: il più bello veniva premiato da una giuria esterna, alla fine delle festività. Le Messe domenicali, dell'Immacolata, di Natale erano celebrate con i detenuti degli altri reparti e vissute, insieme, con il sorriso. Il 25, dopo la celebrazione, si condividevano panettoni e cioccolata calda.
Tutto ciò quest'anno (e speriamo solo quest'anno) è rimasto solo un ricordo. Da fine febbraio gli incontri con i familiari consistono in 20 minuti di colloquio dietro una lastra di plexiglass, una volta alla settimana. O in una videochiamata. Le Sante Messe vengono celebrate per reparti singoli, in stanze adattate. I presepi e gli alberi sono stati allestiti e i panettoni arrivano grazie alla generosità di tante persone, ma quel pizzico di entusiasmo che c'era sembra smarrito.
In questo periodo sono pochissimi i volontari che entrano, previo tampone quindicinale a proprie spese; la scuola è sospesa da mesi; gli avvocati, quando riescono a entrare, portano il peso con cui il Covid sta rendendo la lentezza dei tribunali sempre più insopportabile. Così, chi aspetta con ansia la risposta a un'istanza di riduzione della pena o di pena alternativa alla detenzione in carcere... continua ad aspettare. Eppure sarebbero in molti ad avere i requisiti per una diversa esecuzione della condanna ricevuta.
Si parla da troppi anni della necessità di una riforma carceraria rispondente al dettato della Costituzione. Il 2020, segnato dalla pandemia, poteva essere l'anno giusto, ma molti politici sembrano non essere interessati o non accorgersene. Purtroppo le carceri sono ormai diventate una discarica sociale. Molti detenuti, quando usciranno, saranno costretti a vivere nuovamente ai margini della società e, forse, torneranno in carcere, non perché sono peggiori di altri uomini e donne, ma perché nessuno avrà consentito loro di preparare per tempo un vero reinserimento nella società. Tuttavia, comunque, si uscirà a rivedere le stelle. Da parte mia e di tutti i detenuti di Rebibbia i migliori auguri per il 2021 a tutti i lettori di Avvenire: che sia un anno con più luci e meno ombre.
Padre Stimmatino, cappellano
Casa circondariale maschile
"Nuovo Complesso" di Rebibbia
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