martedì 26 marzo 2019
Vuoi vedere che, alla fine, l'Europa dovrà ringraziare l'Italia per la sua contestatissima firma al memorandum d'intesa sulla nuova "Via della seta" con la Cina? Dopo un fine settimana come quello appena trascorso, infiammato da aspre polemiche sugli assi incrociati Roma-Bruxelles-Berlino-Parigi, una domanda del genere può suonare come una provocazione oltre che come un paradosso. Per di più, il seminario/vertice in programma oggi nella capitale francese, con la presenza di Macron, Merkel, Xi Jinping e Juncker e l'ostentata esclusione di Conte, rischia di alimentare ancora il clima di isolamento degli italiani.
Nonostante ciò, a due mesi esatti dal voto per il nuovo Europarlamento, da tutto il gran dibattere sul presunto "strappo" del nostro Paese alla solidarietà comunitaria, dalle grida d'allarme su quello che già nell'Ottocento veniva definito "il pericolo giallo" con riferimento all'Impero di Mezzo, qualche aspetto positivo si può trarre. E il più evidente è proprio nel richiamo, a volte esplicito a volte lasciato sullo sfondo, all'importanza per l'Unione di non procedere in ordine sparso e di restare... unita .
Nei giorni scorsi, malgrado la "garanzia Mattarella", è stato tutto un rincorrersi di moniti al nostro governo sulla pericolosità, o almeno sull'ingenuità, di mettersi a trattare da soli con il gigante cinese. E pazienza se le voci critiche provenivano da chi, come il presidente francese, a gennaio dell'anno scorso aveva battuto tutti i suoi colleghi sul tempo, volando a Pechino per firmare una ventina di ricchissimi accordi commerciali con quel Xi da poco incoronato come una specie di monarca assoluto. Pazienza pure se la Merkel, così preoccupata per la mossa italiana, guida il Paese con l'interscambio in assoluto più ricco con la Cina: quasi quattro volte il nostro.
Si obietta che nessuno dei "grandi" d'Europa finora aveva messo la sua firma su un'intesa quadro come il memorandum, che assume una valenza politica più forte e coinvolgente. In realtà, questo genere di accordi quadro fissa regole e principi generali per futuri più concreti impegni reciproci su vari settori, tutti da discutere al momento di stipularli. Tra questi settori però, si aggiunge, figura nel nostro caso il delicato terreno delle telecomunicazioni: ebbene, proprio la Germania vuole a tutti i costi coinvolgere il colosso Huawei nello sviluppo della nuova tecnologia 5G, malgrado i ripetuti anatemi degli Stati Uniti.
La verità è che, quanto a peccati di egoismo nazionale, nessuno può lanciare la prima pietra di condanna. E quindi, per tornare all'aspetto "virtuoso" della vicenda, dal punto di vista degli ideali europei ben vengano le esortazioni a stringere le maglie della solidarietà interna. Purché poi alle parole seguano i fatti. Purché ad esempio il cosiddetto "asse renano", rafforzato dal recente Patto di Aquisgrana tra Francia e Germania, si apra a una vera ed equa collaborazione con gli altri partner. Purché, altro decisivo esempio, le regole bancarie e fiscali in vigore oggi tra i 27 Stati membri – quelle effettivamente praticate e non solo proclamate – si evolvano rapidamente verso una reale omogeneità. E si potrebbe andare avanti a lungo.
La vicinanza con il voto per il rinnovo dell'Assemblea di Strasburgo, a 40 anni dalla prima investitura popolare che destò tante speranze, dovrebbe ispirare risposte chiare e impegni precisi, e perché no, anche qualche ammissione di responsabilità, da parte di grandi e piccoli protagonisti del confronto elettorale. Il nazionalismo degli interessi non è meno pericoloso di quello degli slogan sovranisti. Anzi, se stiamo alla più recente evoluzione della Ue, sono stati i primi a rafforzare i secondi. È ora di voltare pagina.
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