Quell'instancabile lettore della società, italiana e non, che è Giuseppe De Rita ha recentemente "regalato" agli amici del Censis una «riflessione sul futuro dopo cinquant'anni di lavoro sul presente», dall'intrigante titolo "Il consolato guelfo" (il testo è ora scaricabile liberamente dalla Rete).
Egli scorge nella storia contemporanea una crescente voglia di radicalità, alimentata da due sentimenti, individuali e insieme collettivi: una domanda, forte e diffusa, di sicurezza di base (nell'abitare, nello spostarsi, nell'ambiente e nelle cure sanitarie); un bisogno non gridato, ma crescente, di certezze (rispetto agli sviluppi della scienza e della tecnologia, al rapporto uomo-natura, alla coesione tra etnie). Governare le società moderne significa fare incontrare questi due sentimenti, il primo dei quali rimanda, secondo De Rita, a un rafforzamento delle istituzioni e dei poteri civili, il secondo a «autorità di senso finale».
Ecco perché l'autore parla di un «consolato guelfo» come ipotesi «in silenziosa emersione». Non gli sfuggono né i pericoli di verticalizzazione («civile o ecclesiale che sia»), e dunque di incompatibilità con le esigenze di una società liquida-molecolare-circolare, che tale ipotesi presenta, né la necessità che, in tale prospettiva, «si dovrà rimetter mano alla cultura e alle sedi di mediazione socio-politica» (da intendersi, mi permetto di aggiungere, non semplicemente come centri studi e think-thank, ma come mondi vitali dai quali nasce e si sviluppa il pensiero).
Si tratta di un'ipotesi di riflessione e lavoro assai suggestiva, per quanto attiene sia al «consolato» (cioè, secondo il modello della romanità e la sua etimologia, al decidere insieme, consigliandosi a vicenda), sia al «guelfo», richiamando una prospettiva spirituale radicata nelle diverse storie nazionali e continentali. Un'ipotesi che merita di venir ripresa.
Anche al sistema giudiziario, chiamato a concorrere alla produzione di sicurezza attraverso gli strumenti della certezza processuale, la riflessione di De Rita pone sfide rilevanti. In primo luogo perché amministrando la giustizia si può soddisfare la domanda di sicurezza solo se le risposte processuali sono tempestive e non arbitrarie, trasparenti e non burocratiche. In secondo luogo, perché tali risposte devono fare i conti con la domanda di senso, e dunque non limitarsi né all'accertamento del "così fan tutti", né alla mera riproposizione di un punto di vista identitario tradizionale, ma devono rispondere all'imperativo costituzionale del pieno sviluppo della persona umana e della sua effettiva partecipazione alla convivenza civile. Per un futuro che non ci incuta paura, o che ne faccia un po' meno.
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