Alla base di ogni immedesimazione ci sono traiettorie di sguardi. La capacità di mettersi nei panni altrui significa guardare l’Altro, e capire come quello stesso Altro vede le cose, le soppesa, ci ragiona. Roland Barthes inaugura il suo saggio sulla fotografia (La camera chiara del 1980) raccontando che l’idea del libro gli è arrivata osservando l’immagine di un fratello di Napoleone. «Sto vedendo gli occhi che hanno visto l’Imperatore» ha pensato, e di lì si è messo a riflettere sul mondo fotografico come universo simbolico di rappresentazioni. Ogni scatto che vediamo è simbolo non solo della figura ritratta, anche del modo che quella ha di stare al mondo. Nel nostro presente intasato di immagini, dove i volti altrui facilmente diventano catalizzatori di proiezioni, darebbe senso riflettere su come gli sguardi che intercettiamo sono a loro volta occhi puntati sul mondo, su altri, su altri Altri. Sapremmo così, affinando lo sguardo, meglio distinguere sguardi che guardano davvero il prossimo, che con quegli occhi altrui si rapportano, da sguardi che negli altri invece solo si specchiano. Traiettorie tra loro opposte e che mondi opposti disegnano: attenti e vigili e umani i primi, narcisisti i secondi. Guardare sguardi e immaginare cosa e chi sono capaci di vedere. Come una bussola.
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