Convincimi, o Signore, che la comunità non compie alcun torto verso di me, se mi va esonerando da responsabilità, se non mi chiede più pareri, se ha indicato altri a subentrare al mio posto. Togli da me l'orgoglio dell'esperienza fatta, il senso della mia indispensabilità. Fa' che la mia uscita dal campo d'azione sia semplice e naturale come un felice tramonto di sole.
Siamo nei primi giorni del nuovo anno ed è giusto anche per me sostare qualche istante a riflettere sul tempo che sgocciola via in modo inesorabile. Quando mi affacciai per la prima volta in questo spazio del giornale, io ero ancora nel pieno delle attese, dei progetti, delle energie. E così si sentivano molti lettori che mi hanno poi accompagnato negli anni. E oggi insieme ci ritroviamo, forse ancora in salute, ma con la consapevolezza che è iniziato il pomeriggio della vita e forse lo stesso crepuscolo. Ho chiesto al direttore - che è per me soprattutto un amico - di potermi ritirare da questa "finestra", ritornando tra i lettori. Lui ha voluto che continuassi e lo ha fatto per cortesia o gentilezza ma in modo affettuoso e convinto.
Tuttavia io ripeto a me stesso, all'inizio di questa nuova tappa dell'itinerario che insieme ancora percorreremo, la preghiera anonima sopra citata che era cara a un uomo di politica e di cultura, Livio Labor, morto nel 1999: «Togli da me l'orgoglio dell'esperienza fatta, il senso della mia indispensabilità». È questa la tentazione che colpisce tutti: ritenersi assolutamente indispensabili e insostituibili, recriminare acremente perché non si è più ascoltati e perché altri salgono sulla ribalta da noi prima occupata. Giunti a quel momento, cerchiamo di uscire di scena in modo semplice e naturale, «come un felice tramonto di sole».
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