Di sé padre Giulio Albanese, comboniano, dice sul profilo Facebook: «Sono un missionario e sono innamorato dell'Africa». Sintesi perfetta: egli è figura popolare nei mondi cattolici precisamente per la sua credibilità in tema di missione e di Africa. Ma né l'una né l'altra c'entrano con le "Morti ingiuste" del post del 18 novembre, che del resto non è suo, bensì del confratello Manuel João Pereira Correia, portoghese, 69 anni, malato di Sla, di cui i lettori di "Avvenire" già conoscono lo spirito ( bit.ly/3kJmLFW ). Si tratta di una lettera pubblicata originariamente sul sito dei comboniani in Italia ( bit.ly/36Nq2ix ), dove l'autore da anni riflette in pubblico sulla sua malattia assimilandola a una balena. Inizia narrando di quotidiani viaggi notturni, in sogno, «come se stessi vivendo la mia vita al rovescio, andando all'indietro», e come «occasione per lodare il Signore». La Sla gli ha tolto «il piacere di gustare il cibo e la bevanda», e anche «di prendere il corpo e il sangue di Cristo»; così prega di essere accolto in Paradiso «con un grande vassoio di ciliegie e di grappoli d'uva, e un buon piatto di baccalà innaffiato con l'olio della mia terra». Ed ecco il cambio di registro: «Ma non vi scrivo per parlare di sogni. Vengo a chiedervi di pregare per la mia comunità», il centro d'assistenza di Castel D'Azzano (Verona), dove la maggioranza dei confratelli e del personale «hanno contratto il Covid-19». Non teme per sé, immaginando che la Sla non lascerà che sia il virus a portarselo via. Piange le «morti ingiuste», il giovane «ucciso da uno sgambetto che mette fine prematuramente alla sua corsa» o l'anziano «che uno spintone fa traballare e cadere, impedendogli di gustare serenamente gli ultimi giorni della sua vita in compagnia dei propri cari». Ma canta anche la sua speranza: il virus, anch'esso «mostruosa e insaziabile balena gonfia di morti ingiustamente strappati alla vita», non sfuggirà alla mano di Dio e, «come fece con il profeta Giona, ci deporrà sulla sponda dove Dio ci attende».
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