Si chiamerà “Organismo etico indipendente” e verrà identificato dalla immancabile sigla composta dalle iniziali in inglese: “IEB”, ossia “Independent Ethics Body”. Avrà il compito di sorvegliare tutte - ma proprio tutte - le istituzioni europee: Commissione, Parlamento, Consiglio, Banca centrale, Corte di giustizia, Corte dei Conti, Comitato delle Regioni, Comitato economico e sociale. L’intera euro-galassia sparsa fra Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo, in altri termini, dovrà essere sottoposta alla vigilanza di un’alta Autorità autonoma, dotata di adeguati poteri per controllare, denunciare e possibilmente sanzionare chi si comporta male.
“Vasto programma”, si potrebbe commentare, come pare che rispose ironicamente il generale De Gaulle a chi gli chiedeva di far fuori tutti i cretini. Eppure, a un anno e mezzo dalla risoluzione dell’Eurocamera che la richiese, nei giorni scorsi l’Esecutivo dell’Unione si è impegnato formalmente a presentare entro fine marzo un progetto per dar vita allo IED. Dopodiché si aprirà una complessa partita fra i tanti attori coinvolti, prima di giungere al varo effettivo. E a quel punto si vedrà se la Ue sarà in grado di riacquistare agli occhi dei suoi cittadini la credibilità e la fiducia scosse dallo scandalo del Qatargate.
Perché non c’è dubbio che, senza gli arresti e il clamore dell’indagine avviata dalla magistratura belga (e tutt’altro che conclusa), i tempi sarebbero stati molto più diluiti. Ma già così, occorre una buona dose di ottimismo per credere che si giunga alla mèta prima delle nuove elezioni europee fissate a maggio dell’anno prossimo. La vicepresidente della Commissione Vera Jourovà, responsabile per i Valori e la trasparenza, ha garantito il massimo impegno dell’esecutivo. E gli eurodeputati, in una nuova risoluzione approvata tre giorni fa, hanno insistito perché si faccia presto.
L’ambito delle competenze per l’organismo da creare è amplissimo, ma la sostanza dei suoi compiti è semplice: verificare che eletti, dirigenti e alti funzionari di tutti gli uffici non approfittino di poteri, relazioni e risorse finanziarie di cui dispongono per curare i propri interessi. Il clima è favorevole, basti un esempio a dimostrarlo. Già dal 2013 anni il codice di condotta di Strasburgo obbliga i deputati a dichiarare la loro partecipazione a eventi, viaggi o manifestazioni pagate da soggetti e Paesi terzi, entro il mese successivo alla loro conclusione. La prassi degli ultimi anni dimostra che pochi provvedevano a farlo nei termini giusti. Ora però, dopo lo scoppio del Qatargate, un’analisi accurata di Transparency International ha mostrato un’impennata delle autodichiarazioni dei parlamentari, in gran parte in ritardo. Tutti evidentemente preoccupati di venire additati alla pubblica opinione come sospetti di accettare regalie e dunque influenzabili.
Ma la pressione investe anche i vertici. A inizio settimana scorsa, il quotidiano New York Times ha citato davanti alla Corte di Giustizia Ursula von der Leyen, accusandola di non voler rendere pubblici gli scambi di Sms tra lei e la multinazionale farmaceutica Pfizer, con la quale la presidente della Commissione Ue contrattò in via riservata l’acquisto di vaccini anti Covid per quasi due miliardi di euro. Già in passato VdL è stata nel mirino di deputati e della Garante dei diritti, per la scarsa trasparenza sulle modalità di quel negoziato. Vedremo che ne penseranno le toghe Ue. E se nascerà l’Authority, vedremo se saprà impedire nuovi casi del genere.
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