Questo essere umano che di continuo s'interroga sul senso dell'esistenza; che si dibatte a occhi aperti con l'enigma delle proprie domande; che avanza nel mistero a tastoni, assetato della rivelazione di questa verità; che inevitabilmente matura la coscienza del suo stare al mondo nell'intersezione di immanenza e trascendenza: questo essere umano non ha mai smesso, attraverso i tempi, di pregare. Lo dimostrano l'archeologia e le testimonianze iconografiche delle età e delle geografie le più diverse. Lo attestano gli inni egizi, le composizioni devozionali che troviamo presso gli assiri e i babilonesi, i formulari dei culti nella Grecia antica, il profondo sentimento religioso che emerge dalla letteratura classica o dai primi testi filosofici.
La storia umana è impensabile senza tenere in conto il respiro, anche drammatico e non conciliato, della sua religiosità, riflessa nel pregare. Proclo di Costantinopoli, uno degli ultimi grandi neoplatonici, così esprime questa esperienza universale: «Tutto ciò che pensiamo ti appartiene… o Ineffabile, che le nostre anime sentono presente, a te elevando un inno di silenzio». Prima di lui, san Gregorio Nazianzeno aveva pregato: «Solo, tu sei ineffabile… Solo, tu solo sei inconoscibile… Tutte le cose cantano te… il gemito di tutti aspira a te. Tutto ciò che esiste ti prega».
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