Abito in un quartiere di Roma non lontano dalla stazione Termini, tra i più interetnici che ci siano in Italia, e vi incrocio quotidianamente immigrati che vengono da più parti d'Asia (soprattutto Cina e Bangladesh), Africa e America Latina, e ovviamente dell'Europa che chiamavamo orientale (anche quella che invece è centrale, Mitteleuropa) o d'oltrecortina, perché il mondo si divideva un tempo secondo due zone d'influenza e cioè due imperi, il capitalista e il comunista, e oggi è diventato uno e bensì ancora vario e inconciliato. Gli stranieri erano rari in Italia mentre oggi sono milioni, e una persona d'età non può che restare affascinata e/o sconcertata dall'incrociare tanti volti diversi, che portano il segno di ambienti, storia, Dna non nostri, anche se un tipo italiano puro non è mai esistito e ogni regione ha subìto invasioni e mescolanze. («Razza: umana», diceva quel tale). Sono da sempre uno scrutatore appassionato dei volti dei miei simili, alla caccia di ciò che ci somiglia e di ciò che ci distingue, che ci dice (o ci nega) l'intuizione di un carattere oltre a quella di un passato prossimo e di un passato remoto individuali e di gruppo, di popolo. Per esempio, mi perdo a immaginare dai volti degli adulti che faccia hanno potuto avere da bambini, e a volte questo è un gioco facile, a volte difficilissimo. Il tempo e gli affanni che porta con sé incidono eccome, scavano, cambiano, a volte stravolgono... Un libro recente e ricco di immagini, Facce. Una storia del volto (Carocci), di un grande studioso tedesco, Hans Belting, mi ha appassionato per la capacità di affrontare l'argomento da molti punti di vista, soprattutto storico-sociali ma anche psicologici, artistici, e ovviamente religiosi: il volto e la maschera, la maschera e il rito, il vivo e il teschio, il teatro e il cinema (e qui c'è un elogio al grande Bergman che era prevedibile e giusto), l'arte dell'autoritratto che si fa con Rembrandt «ribellione contro la maschera», la «scuola africana» del ritratto che parte da concezioni diverse rispetto alle nostre... E le mode, ovviamente, con la loro incidenza sui gusti e... sulle facce. Anche oggi, tra barbe, piercing, anelli, stracci e un look forsennato per chi meno ha personalità e sente incerta l'identità, e imposto dai mercanti e dai media. Quel che leggo nei volti dei giovani è l'incertezza, il non-sapere chi si è, la paura dell'indistinto e insieme la spinta al conformismo più estremo. Come in ogni tempo prima di questo? Forse, ma non ci giurerei...
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