Tre storie di solitudine. Una finita bene, due finite malissimo. La solitudine è uno dei mali maggiori della società, fonte di sofferenza sempre silenziosa e quindi difficilmente percepibile; eppure viene derubricata a fatto privato, di cui la politica non deve interessarsi. Sarà davvero così? Due storie narrate da Concita De Gregorio sulla “Repubblica” (19/3) avvengono in Puglia, tra Lecce e Foggia. Due ristoratori, preoccupati per l’assenza di un cliente abituale, lo vanno a cercare a casa, sfondano la porta, lo trovano a terra colpito da infarto, gli salvano la vita. La seconda storia è quella di un uomo trovato sepolto dagli oggetti che accatastava, morto ormai da tre mesi. «Era un accumulatore seriale – scrive De Gregorio – patologia grave e diffusa, sorella della solitudine e del senso di estraneità dal mondo fuori (…). Una malattia che si può forse avvistare per tempo, sempre avendo naturalmente qualcuno che vi cerca e che vi vede». Non è stato cercato né visto per ben sette mesi, invece, Pier Attilio Trivulzio, 83 anni. Ne scrive il “Corriere” (19/3 e 20/3). Annota Giorgio Terruzzi: «Mummificato. Così l’hanno trovato alcuni operai inviati in un appartamento di corso Trieste a Novara». Giornalista, «in difficoltà da anni. Solo. Completamente, visto come se n’è andato, senza nessuno che si preoccupasse per lui». Eppure era stato un noto volto televisivo, di casa all’Autodromo di Monza. «Un vero e proprio fantasma – scrivono Luca Caglio e Floriana Rullo – inghiottito dalla solitudine». Commento del sindaco: «Nessuno si è dato una ragione sul perché fosse così solo». Intanto su “Domani” (19/3) il ricercatore Enzo Risso, a partire dalla ricerca dell’osservatorio Legacoop-Ipsos, sottolinea come sia sempre più forte la richiesta di «stringere i legami sociali». Scrive Risso: «La comunità come ambito caldo, in cui si può ancora auspicare di ritrovare forme di benessere, come contenitore in cui si vanno a ridurr e le disuguaglianze. Grazie alla partecipazione, alla cooperazione e all’impegno mutuale dei suoi partecipanti». È la comunità che ha soccorso nella prima storia ed è mancata completamente nelle altre due storie. È la comunità come “corpo solido” – per dirla con Bauman – di cui abbiamo un disperato bisogno, eppure così assente dall’agenda della politica.
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