martedì 29 aprile 2008
Dopo Paolo VI e Giovanni Paolo II, è stata la volta di Benedetto XVI. Non era facile ipotizzare quali sarebbero stati i toni del discorso di Papa Ratzinger all'Onu per calare la Verità di Cristo, che la Chiesa non può svendere, nei particolarismi di una assise sempre più diversificata. Pur nelle mutate condizioni storiche, Benedetto XVI si è posto in continuità con i suoi predecessori e, senza fare sconti in nome del dialogo, ha tracciato le linee comuni per costruire pace, giustizia e libertà.
Se per Paolo VI era giunto «il momento della metanoia», se Wojtyla definì la legge morale universale, scritta nel cuore dell'uomo, come una sorta di «grammatica» che serve al mondo per affrontare il futuro, Benedetto ha richiamato con coraggio le coscienze degli uomini, che fanno la storia, alla coscienza dell'uomo, alla sua dignità di creatura a immagine e somiglianza di Dio.
Se Paolo VI si rivolse ai membri delle Nazioni Unite come agli «architetti della pace» proclamando il suo solenne: «Non più la guerra!», se Giovanni Paolo, di fronte ai regimi sostenuti dal terrore, fece appello alla solidarietà, nucleo morale del «potere dei non potenti», Benedetto non ha esitato nel dichiarare che l'aspirazione dell'Onu ad incarnare un grado superiore di orientamento internazionale «continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi».
Se Paolo VI rinnovò l'invito a lavorare «gli uni per gli altri», a devolvere ai Paesi in via di sviluppo una parte delle economie destinate agli armamenti, se Giovanni Paolo richiamò le Nazioni Unite ad una equa distribuzione dei beni, contro ogni utilitarismo economico, Papa Ratzinger ha affermato che «semplici interessi, spesso interessi particolari», possono compromettere la difesa della dignità umana. Il Papa ha infatti ricordato quei Paesi che, rimanendo ai margini di uno sviluppo integrale, sperimentano solo gli effetti negativi della globalizzazione. In ginocchio a Ground Zero, luogo del dolore e della sconfitta dell'uomo, Benedetto ha pregato in silenzio per le vittime del terrorismo e per quanti vivono nell'odio, ma ha affermato senza mezzi termini che «le vittime degli stenti e della disperazione, la cui dignità umana viene violata impunemente, divengono facile preda del richiamo alla violenza e possono diventare in prima persona violatrici della pace». In quest'ottica ha affidato all'Onu, che Papa Wojtyla definì «una famiglia di nazioni», il compito di intervenire quando uno Stato non è in grado di difendere i diritti del suo popolo, prevenendo i conflitti e incoraggiando il dialogo.
Se Paolo VI affermò che quel Dio, per molti ignoto, è il Dio vivente, il Padre di tutti gli uomini, se Giovanni Paolo ribadì quanto importante sia preservare il diritto alla libertà di religione e di coscienza, Benedetto è andato oltre: «Non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto», ma bisogna considerare la dimensione pubblica della religione e la possibilità dei credenti di costruire l'ordine sociale.
Se Paolo VI in nome del rispetto alla vita condannò il controllo artificiale delle nascite, se Giovanni Paolo ricordò che la libertà possiede una «logica» interna che si realizza nell'attuazione della verità, Benedetto, in nome della vita e della libertà, ha dichiarato che la ricerca scientifica non può mai mettere in discussione l'ordine della creazione. «Mai come oggi, affermò Paolo VI nel 1965, in un'epoca di tanto progresso umano, si è reso necessario l'appello alla coscienza morale dell'uomo»; «La libertà, asserì Giovanni Paolo nel 1995, è la misura della dignità e della grandezza dell'uomo»; in nome della coscienza morale e della libertà, Benedetto XVI ha parlato alle Nazioni Unite del terzo millennio come difensore instancabile della dignità umana, testimone della speranza cristiana, come apostolo convinto della Verità.
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