Di san Cristoforo, protettore dei trasportatori, fra i miei non se ne parlava granché, eppure avrebbe dovuto essere di casa. Qualche immaginetta durante l'infanzia e poi, adulto, l'ho visto talvolta nelle icone sulle cabine dei camion e non sempre in adeguata compagnia. Qui però erano gli anni della guerra ed io non ero ancora venuto al mondo. Mio padre faceva funzionare una stazione di pompaggio che risucchiava grandi quantità d'acqua dal fiume Lambro, sul quale abitavamo. La nostra riva era quella alta delle due e sotto, era attraccata una barca da fiume, a forma di lancia che si muoveva con un palo da spingere sulla ghiaia del fondo. Quando il fiume esondava, l'acqua riempiva la nostra cantina, ma la casa era ben costruita e i miei la presidiavano senza chiedere aiuti. Un giorno arrivarono di corsa tre giovani inseguiti dai fascisti. Mio padre non esitò e li fece traghettare in barca. Mia madre assisteva pregando, dalla finestra. Era estate e i ragazzi si accucciarono nel campo di grano che costeggiava la riva bassa. Giusto il tempo di rientrare, per mio padre, che arrivano i militi. Lui dice di non aver visto nessuno ma loro tirano ugualmente delle sventagliate di mitra nel campo di grano, fortunatamente senza colpire nessuno. Passato un anno, i miei, questa volta rifugiarono in casa un fascista, dopo il 25 aprile e lo difesero con i loro rosari. La terza notte, mio padre lo caricò in barca, con provviste e una bicicletta, poi discese il fiume fino a lambire la via Emilia. Da qui, percorrendo all'incontrario la via di fuga verso Milano, di Agnese e Lucia nei Promessi Sposi, l'uomo si salvò.
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