Non c'è dubbio che, se si vuole ascoltare quel che dice Seneca, «chi esorta i giovani, chi, in così grande penuria di buoni maestri, insinua negli animi la virtù, chi afferra e ritrae coloro che si precipitano di corsa verso il denaro e il lusso e, se non altro, certamente li raffrena; chi fa questo, seppure in privato, svolge un'attività d'interesse pubblico». Ma oggi noi ci troviamo di fronte a un dilemma gravissimo. L'università di Stato, in Italia così come in molti altri Paesi d'Europa, non è spesso più l'alma studiorum mater sulle cui cattedre siedono i veri rivoluzionari della cultura, coloro cioè che sanno dalla lezione della storia ricavare insegnamenti per le esigenze urgenti dell'ora presente; coloro che non hanno paura di apparire ingenui e dilettanteschi se parlano ai giovani di Virtù; coloro che hanno appreso da grandi Maestri a coniugare e congiungere il rigore e la passione, l'attenzione anche ai minuti particolari e il vasto respiro che abbraccia il tutto, come i bravi pittori, che talora avvicinano l'occhio al quadro per curare i dettagli, talora s'allontanano dalla tela per una visione sinottica dell'insieme. So bene che nelle università non mancano affatto persone che difendono la serietà e l'apertura mentale, sempre mirando a che i giovani, accesi da una grande passione per la conoscenza e le discipline, ricevano una preparazione nei vari campi non disgiunta da una formazione morale. Ma proprio per questo so per certo che nessuno spirito corporativo li porterà a negare la profonda, immensa crisi che gli atenei di tutto il mondo, e particolarmente di quello occidentale, attraversano. La micrologia che angustia e restringe gli spazi dell'animo ha definitivamente prevalso sulla capacità di sintesi organiche e vaste; le logiche miserabili e bottegaie del carrierismo e della gestione d'un potere servile hanno schiacciato ogni nobile slancio e ogni aspirazione a cose alte e sublimi. Della dottrina si fa gran mercato, nell'indecoroso mercimonio di debiti e crediti; e l'antico seminarium doctrinarum si trasforma in un disonorato diplomificio, da cui s'alienano e s'allontanano le menti più nobili, mentre i mediocri si trascinano stancamente per giungere a quelle mete che propongono loro o una abietta ambizione, o una cogente necessità. Il resto è palude lutulenta e limacciosa, nelle cui sabbie mobili si muove con difficoltà e disagio chi coltiva ancora ideali sublimi, e vorrebbe lavorare per la formazione delle umane coscienze.
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