Noi cerchiamo di dare un senso alle cose, alle azioni, ai fatti, alle storie personali e alla storia collettiva. Cerchiamo un senso perfino all'intero universo e ai suoi innumerevoli fenomeni. Cerchiamo un senso unitario all'infinito molteplice e anche a ciò che non riusciamo a conoscere. Tutto questo è naturale, è un istinto mentale e fa bene alla mente, ne combatte la pigrizia. Ma c'è un ma. La ricerca del senso limita l'imperscrutabile varietà e stravaganza di ciò che accade e potrebbe accadere, la bizzarria della singolarità irriducibile dei caratteri e dei destini umani, favole in cui il senso combatte con il non senso.La cultura inglese ha elaborato una sapiente combinazione fra la logica del common sense e l'antilogica del nonsense. Questa formula bifronte rende più accettabile sia il fatto che la vita è fondata su noiose, confortevoli abitudini, sia il fatto contrario che l'imprevedibile e l'inclassificabile sprigionano la nostra meraviglia e impongono all'intelletto troppo solerte di arrendersi di fronte all'assurdo.Come è noto, il sacerdote letterario del nonsense è lo scrittore vittoriano Edward Lear. Come regalo natalizio ho ricevuto dall'Einaudi il suo Libro dei nonsense, libro che va letto a piccole dosi perché eserciti la sua efficacia depurativa e sedativa del sistema nervoso. Ogni limerick (questo il nome delle strofette di cinque versi rimati aabba) è un minuscolo dispositivo verbale per la cancellazione momentanea del peso della realtà. Sappiamo che Lear era un malinconico sofferente di asma, bronchite cronica e perfino epilessia. Nato a Londra nel 1812, viaggiò a lungo specie in Italia, per regioni di salute, in fuga dalla propria condizione di malato e da tutto il resto. La sua battaglia contro il senso a favore del non senso era ossessiva: paradossalmente, diventò abitudinaria la sua stessa stravaganza. C'è un limerick che dice: «C'era un vecchio in un giardino / Che diceva a tutti: "Io mi inchino!" / Quando chiedevano: "Per che ragione?" /Rispondeva: "Siete un'afflizione! / E vi invito a lasciare il mio giardino"». Questi versi hanno un sapore autobiografico. Se volete restare nel giardino del suo libro e ricevere le sue cortesie, non chiedete mai a Lear perché dice quello che dice.Se lo farete, lo offenderete. Al nonsenso non si obietta.
© Riproduzione riservata