Con tutto quello che, quasi quotidianamente, papa Francesco ha detto e ha fatto in questi ultimi mesi segnati dal coronavirus si potrebbe mettere insieme una amplissima pagina di magistero. Amplissima e, soprattutto, inedita, visto che la pandemia che ancora stiamo vivendo ha pochissimi precedenti, e nessuno di questi è recente. Il discorso sarebbe lunghissimo, e non c'è qui spazio abbastanza per farlo. Ma, tra le tante cose trattate e i molti spunti offerti dalla pagina in questione, certamente degna di nota è l'importanza che Bergoglio ha sempre attribuito ai consigli che arrivavano – e continuano ad arrivare – dalla scienza. Anche riguardo alle cose più "scomode" per i credenti, come il dover rinunciare alle cerimonie religiose in nome della prudenza, indispensabile. Non una soggezione, o un'ingiustificata timidezza, né tantomeno una resa della fede di fronte alla scienza, come qualcuno ha polemicamente sostenuto, ma un rispetto profondo dei ruoli e delle competenze, in quel dialogo costruttivo che deve sempre esistere tra scienza e fede, nella costante ricerca del bene comune.
Nel novembre del 2006, parlando all'assemblea plenaria della pontificia Accademia delle Scienze, papa Benedetto XVI volle ribadire che «il cristianesimo non presuppone un conflitto inevitabile tra la fede soprannaturale e il progresso scientifico. Il punto di partenza stesso della rivelazione biblica è l'affermazione che Dio ha creato gli esseri umani, dotati di ragione, e li ha posti al di sopra di tutte le creature della terra». In questo modo, proseguiva Ratzinger con citazioni dal Concilio e dal magistero di Giovanni Paolo II, «l'uomo è diventato colui che amministra la creazione e l'"aiutante" di Dio. Se pensiamo, per esempio, a come la scienza moderna, prevedendo i fenomeni naturali, ha contribuito alla protezione dell'ambiente, al progresso dei Paesi in via di sviluppo, alla lotta contro le epidemie e all'aumento della speranza di vita, appare evidente che non vi è conflitto tra la Provvidenza di Dio e l'impresa umana. In effetti, potremmo dire che il lavoro di prevedere, controllare e governare la natura, che la scienza oggi rende più attuabile rispetto al passato, è di per se stesso parte del piano del Creatore».
Così domenica scorsa all'Angelus, per la terza volta affacciato alla finestra della sua Biblioteca privata dopo la fine del lockdown su una piazza San Pietro piena di fedeli (ma ben distanziati), Francesco ha detto che «in Italia la fase acuta dell'epidemia è superata, anche se rimane la necessità – ma state attenti, non cantare vittoria prima, non cantare troppo presto vittoria! – di seguire con cura le norme vigenti, perché sono norme che ci aiutano a evitare che il virus vada avanti». E ha aggiunto, a rafforzare il concetto: «Grazie a Dio stiamo uscendo dal centro più forte, ma sempre con le prescrizioni che ci danno le autorità. Ma purtroppo in altri Paesi – penso ad alcuni – il virus sta facendo ancora tante vittime. Venerdì scorso, in un Paese, è morto uno al minuto! Terribile». Già, davvero terribile. Perché se la pandemia sembra passata qui da noi, nessuno ci deve essere estraneo, nessuno ci deve sembrare troppo lontano da non essere degno della nostra vicinanza, della nostra solidarietà, della nostra preghiera al Padre che ci ama tutti. Questo, e solo questo, deve essere l'atteggiamento dei cristiani.
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