C'è un forte valore etico in questa Nazionale che Prandelli ha giurato di voler, se non rivoluzionare, almeno riformare: è una squadra di professionisti seri e di lavoratori veri. In senso non solo laico, il lavoro è virtù primaria. E gli azzurri ce la stanno mettendo tutta: fatica, abnegazione, spirito di sacrificio hanno nobilitato il confronto con un'Inghilterra piuttosto preoccupata - al contrario - dei suoi quarti di nobiltà, dei suoi campioni che protegge nonostante sembrino tutti - a partire dal mitico Rooney - appagati borghesi. Voglio usare un modo di dire da bar sport: li abbiamo macinati, li abbiamo messi sotto il torchio e spremuti al punto che ai rigori - loro confessato traguardo - gli azzurri son parsi al confronto giganti, realizzando ciascuno un penalty da spettacolo, compreso il povero Montolivo che con il suo errore è entrato, senza volere, nel meccanismo della tragicommedia finale, consentendo a Buffon di fare il fenomeno, a Pirlo di esibire un tocco di classe da almanacco, a Balotelli e Diamanti di aprire e chiudere con la freddezza e la serenità dei forti. Ma al popolo - e ai media - interessano altri dettagli della rivoluzione, dettagli tecnici e tattici. La tattica è ancora in nuce, soffre di tentazioni guardiolesche e s'avventura nell'ancora misterioso territorio della tenuta di palla e del gioco orizzontale. La tecnica, poi, paga lo scotto della ricerca di un modulo nuovo, di un nuovo modo di giocare che Prandelli sogna e che con la Germania potrebbe diventare realtà. O incubo. La Nazionale ha perduto il centravanti classico, e con lui il bomber, anche perchè di italiani non ce n'è o sono logori: lo stesso Di Natale - che bomber è a suon di dozzine di gol - domenica poteva entrare al posto di Cassano (non di Balotelli, come con la Spagna) con compiti vaganti fra il trequartista e la punta; per il futuro continuo a segnalare Destro, Immobile, Insigne. Per Brasile 2014 li avremo. È saltata anche la figura del classico “10”. Totti e Del Piero sono ormai un ricordo, Baggio addirittura un'icona da Hall of Fame: e dicono che era inevitabile, che il calcio è cambiato e ha perduto fantasisti e poeti, e blablabla. Per fortuna c'è Diamanti che - volendo - potrebbe assurgere al ruolo di trequartista di classe, dotato com'è di fantasia, di visione di gioco, di piede buono, un sinistro che potrebbe mandare a scuola da Mariolino Corso, sempre pronto a svelare i suoi segreti, "foglia morta" compresa. Lavorando e provando, nel frattempo, è nata una squadra solida, parente alla lontana di quella che ha affrontato la Spagna: Bonucci è cresciuto fino al punto di non far rimpiangere Chiellini, Abate ha rappresentato al meglio il faticatore all'antica, marcatore implacabile e al tempo stesso propulsore dinamico; Balzaretti ha risolto al meglio il problema del laterale di spinta e di recupero; De Rossi - che contro la Germania ci sarà - ha ritrovato il paradiso perduto e s'è visto che non c'è conflitto con Pirlo, il quale è peraltro così grande che può soffrire solo conflitti con se medesimo. Manca, a questo gruppo juventinizzato, l'intensità predicata da Conte e suscitata da Marchisio, da qualche tempo un po' in ombra non per un calo di qualità, ma per stanchezza. Se fosse davvero l'ItalJuve, la Nazionale risolverebbe anche il problema del gol, visto che in bianconero segnano tutti e non brilla certo un bomber solitario. Vista così, l'Italia di Prandelli può prendere le misure anche alla Germania. Prima rispettandola - come Don Cesare vuole - poi ferendola, come vuole la Storia.
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