Segnalando il n. 178 della rivista "Una città", specializzata in lunghe, ottime interviste, vorrei richiamare l'attenzione sulle pagine in cui Guido Viale fa l'elogio del riuso e di chi lavora a riparare e riciclare. Viale, che l'anno scorso ha pubblicato da Laterza La civiltà del riuso, ha sempre preso molto sul serio il rapporto fra economia e ecologia. Ha indagato e descritto efficacemente quell'antropologia del consumo dissennato alla quale in futuro potremo (dovremo) sostituire un'antropologia del risparmio, dell'uso prolungato degli oggetti e della cura del mondo materiale. Il nostro vizio è la fretta con cui trasformiamo tutto e subito in rifiuti. Secondo Viale (è un'ipotesi, un progetto e un augurio) l'epoca del consumo forsennato «potrebbe essere solo una parentesi nella storia dell'umanità». Già ora, del resto, riusiamo molto. Per esempio, le case. I piatti e le posate. Gli abiti. Non sono poche le auto usate in circolazione. Le librerie d'occasione sono le più (o le sole!) interessanti da visitare. I mercatini di mobili usati aumentano. Ma è chiaro che il riuso implica quell'idea di manutenzione e di riparazione che stiamo perdendo. Credo che si tratti di un "feticismo buono" che contrasta con il demone della distruzione e della cancellazione. Oggi i miei libri più cari sono quelli che lessi fra i quindici e i venticinque anni. Recentemente li ho fatti rilegare.
Il saggio che chiude questo numero della rivista è un buon esempio del riuso del passato. Gregory Sumner, docente di storia all'università di Detroit, ha riscoperto quasi per caso la rivista "Politics" fondata da Dwight MacDonald e pubblicata a New York negli anni '40. Tra i suoi collaboratori c'era Nicola Chiaromonte, che fece conoscere a MacDonald autori come Albert Camus, Simone Weil, Hannah Arendt. Il saggio di Sumner è assolutamente da leggere. A cosa mirava MacDonald con la sua rivista? A «una
nuova idea di politica, più umana». Non è questo un progetto da riusare?
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