giovedì 25 gennaio 2018

Mentre la famiglia è in piena crisi (e si affacciano leggi offensive per la dignità umana) emergono dal passato testimonianze colme di fascino e di fede. Il 22 gennaio 627, 14 secoli fa, moriva a Monza, mia città, la regina Teodolinda. Una Cappella a lei dedicata, affrescata dagli Zavattari e recentemente restaurata, racconta con eleganza la storia di questa splendida figura di donna. Splendida e dimenticata come sono spesso dimenticate le donne cristiane che, lungo i secoli, si sono distinte per sapienza, coraggio e capacità di relazione con i potenti del loro tempo. Entrando nel Duomo di Monza si è avvolti dalla silenziosa penombra che introduce nel clima di preghiera. Oggi la cappella Teodolinda dopo sei anni di sapiente restauro è accessibile solo a pagamento, ma un tempo non era così. La bellezza un po' smorzata di quegli affreschi ti veniva incontro, accedendo alla cappella laterale di destra, di Teodolinda, appunto. Da piccola stavo col naso all'insù cercando di decifrare l'indecifrabile.

Sapientemente i miei nonni materni, che abitavano a un passo dal Duomo, m'indicavano l'affresco della colomba raccontandomi l'origine del nome Modoetia. La Regina, come tutti i longobardi, devota di san Giovanni il Battista, cercava un luogo adatto per edificare una basilica in suo onore. Uno degli affreschi della parete sinistra, racconta come lo trovò. Una battuta di caccia portò Teodolinda a Olmea, antico nome della radura, ricca di olmi, ove oggi sorge il capoluogo brianzolo. Proprio qui, dove il fiume Lambro si sdoppia creando un'isola a forma di cuore, Teodolinda si fermò a riposare. Le apparve una colomba che, indovinando i pensieri della regina, disse: "Modo" cioè "Qui". Ella prontamente rispose: "Etiam" ovvero "Sì!" Nell'affresco si vede anche Teodolinda in ginocchio mentre già contempla, entro le merlature di Monza, il Duomo dedicato al Battista. Gli affreschi, dopo il restauro, non solo hanno ritrovato la prepotente bellezza dei materiali impiegati: oro e argento per i metalli, velature leggerissime per rendere la vaporosità dei tessuti, ma hanno rivelato particolari affascinanti. La scena del matrimonio tra Teodolinda e Agilulfo è un inno all'unione fra un uomo e una donna e offre allo sguardo una tavola piena di confetti. Il confetto, da con-ficere, confezionare, era fatto bell'apposta per raccontare l'unicità di un evento: una donna offre la sua verginità (lo zucchero bianco) allo sposo, per una fecondità (la mandorla) che arricchisca il mondo di nuove vite. Davanti a Teodolinda e Agilulfo vediamo cinque confetti. I confetti sono dispari per significare l'indivisibilità della coppia: 3 indicano l'auspicio di un figlio, 5 prosperità e salute. Davanti a Teodolinda ce ne sono 3 dall'inconfondibile forma mandorlata altro rimando a una fecondità benedetta (la mandorla racchiude spesso Cristo, Dio Padre, o la Vergine Maria). Dietro la coppia, una tappezzeria finissima vede ripetersi croce e rose a dire che l'amore è sofferenza, ma è anche luogo di vera carità e di fragranza per la società. Guardo il particolare dell'affresco, e soffro pensando a cosa sia oggi il pranzo nuziale, lo scambio dei confetti (quando c'è), o il matrimonio. Siamo così lontani dall'universo simbolico che ci ha edificati che, oggi, non offrire confetti è considerato talora segno di emancipazione e risparmio. In realtà mantenere vive alcune tradizioni e perpetuarne il significato consolida le nuove generazioni nelle verità ataviche inscritte da sempre nel cuore della nostra gente.

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