Tacitamente nevica sui rami, / sui campi muti; e tutto imbianca un gelo, / tutto agghiaccia un oblio. Par che dal cielo / piova silenzio, e pare un sogno il mondo.
«Egli sparge la neve come uccelli che discendono, come locusta che si posa è la sua caduta. L'occhio ammira la bellezza del suo candore e il cuore stupisce al vederla fioccare». Quasi con gli occhi stupiti di un bimbo, il Siracide (43, 17-18), sapiente biblico del II secolo a.C., con queste parole contemplava una nevicata su Gerusalemme e sul deserto di Giuda. Con gli stessi occhi noi tutti da bambini stavamo col naso incollato alla finestra assistendo al distendersi di questo manto candido sul creato. E con la stessa intensità anche i versi di Giovanni Marradi (1860-1922), poeta livornese, riproducono davanti ai nostri occhi un'esperienza che in varie aree del nostro paese si sta ora ripetendo.
È soprattutto un'esperienza di silenzio: la neve non ha il fragore del temporale o il picchiettare della pioggia battente, è tacita e genera attorno a sé un alone di quiete, anche perché le auto non possono più sfrecciare e i rumori si attutiscono. «Non uscire di casa. Resta al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare nemmeno, aspetta soltanto. Non aspettare nemmeno, sii assoluto silenzio e solitudine». Era il grande Kafka a lanciare questo appello che facciamo nostro. La neve è un segno di candore; il bianco è come il silenzio perché nulla vi è scritto; eppure sappiamo che è la sintesi di tutti i colori. Riflettere, meditare, contemplare sono atti silenziosi che si aprono però sulle parole più importanti, sulle azioni decisive, sul mistero che è in noi e che è oltre noi.
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