mercoledì 28 gennaio 2004
La grandezza dell'opera che dobbiamo testimoniare va ben oltre il potere del linguaggio umano. Questo genera, allora, difficoltà nel parlarne, ma è anche motivo per non tacere. Nelle prime ore del mattino del 7 marzo 1274 si spegneva nell'abbazia cistercense di Fossanova san Tommaso d'Aquino. La liturgia, però, ha trasferito la sua memoria a quest'oggi perché il 7 marzo cade in Quaresima, tempo tutto proteso verso la figura di Cristo morto e risorto. Vorremmo qui commemorare questo sommo teologo, esempio altissimo di sintesi armonica tra fede e ragione, con le parole di un altro grande santo e pensatore, il papa Leone Magno, famoso per i suoi Sermoni e le sue Lettere, morto nel 461. Il mistero che dobbiamo annunziare e vivere - egli osservava - è così arduo da rendere impacciato il linguaggio. Eppure la sua stessa grandezza e bellezza ci spingono a non tacere. È questo l'atteggiamento intimo di Tommaso e di tutti coloro che hanno desiderato penetrare nell'orizzonte della fede. Da un lato c'è il timore di chi si inoltra su un mare sconfinato con una piccola imbarcazione, quella della propria ragione; d'altro lato, c'è la spontanea necessità di conoscere, c'è il richiamo della verità che si rivela e illumina, c'è il desiderio di comunicare agli altri ciò che si è
visto e udito. Rispetto, umiltà, silenzio ma anche coraggio, ricerca, testimonianza: sono questi i due impulsi dell'anima del credente. Un altro grande teologo, il vescovo san Giovanni Crisostomo, morto nel 407, diceva: «Cristo ci ha lasciato sulla terra per essere fiaccole che illuminano, fermento della pasta, angeli tra gli uomini, adulti tra i bambini, uomini spirituali in mezzo a uomini carnali, per conquistarli, per essere seme e portare frutti abbondanti».
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