
Ci sono stati momenti storici in cui i magistrati, o almeno alcune categorie tra essi, non guardavano lontano, mentre una parte della politica lo sapeva fare: si pensi alla fine dell’Ancien Régime, al New Deal statunitense negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, oppure, da noi, all’indomani della Liberazione.
Oggi, sembra che il pendolo della storia sia rovesciato: la politica, o almeno larga parte di essa, fatica ad andare oltre al breve, brevissimo (quasi giornaliero) termine, mentre le magistrature, o una larga parte di esse, suppliscono guardando al medio e lungo periodo.
Esempi in proposito vengono dalle decisioni di giudici stranieri o internazionali: quella sul clima del giudice costituzionale tedesco del 2021, e più ancora, nel 2024, quella della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha sanzionato la mancata adozione, da parte della Svizzera, di adeguate misure per contrastare il cambiamento climatico.
E nel nostro Paese? Le cose non sembrano andare molto bene, almeno se prendiamo in esame le scelte reali in alcuni settori-chiave del rapporto tra presente e futuro.
Si pensi alle norme introdotte nella legge di bilancio per il 2025 in tema di gioco d’azzardo patologico, le quali (come “Avvenire” ha puntualmente documentato), sembrano incuranti delle sue conseguenze devastanti sulla vita personale e collettiva. O alla circostanza che, in tema di prevenzione della salute attraverso buone abitudini alimentari, le norme introdotte nel 2019 sulle bevande edulcorate (sugar tax, volte a scoraggiare il loro consumo eccessivo) sono state continuamente prorogate e la loro entrata in vigore a luglio 2025 è tutt’altro che certa. O ancora alla politica migratoria, incapace di andare oltre a misure spettacolari e di effetto, ancorché sprovviste di benefici, quando non apertamente inefficienti e contrarie ad esigenze minime di protezione dei diritti delle persone (vicenda Albania insegna).
Quando poi i magistrati provano a guardare più lontano, la risposta della politica è spesso, nel nostro come in altri Paesi, sulla difensiva: occorre che le magistrature stiano al loro posto. Ora, che ciascuno stia al suo posto è certamente un criterio saggio (salvo chiarire che cosa significhi, in uno Stato di diritto, che i magistrati stiano “al loro posto”), ma richiede che il “posto” della politica sia occupato bene, a partire dal fondamentale dovere di verità che grava sugli investiti di pubbliche funzioni.
Se pensiamo che, stando ad accreditate e indipendenti fonti statunitensi e canadesi, tra il 2016 e il 2020 il presidente Trump avrebbe fatto oltre trentamila affermazioni false o fuorvianti, e che, già durante le prime settimane del secondo mandato e anche in queste ore, sembra che la tendenza stia ancora peggiorando (il rovesciamento dei ruoli tra aggredito e aggressore, o tra autocrazia e democrazia, a proposito del conflitto russo-ucraino, ne dà conferma), non c’è da stare allegri.
Siamo ancora in tempo, nell’interesse delle generazioni future (art. 9 Cost.), a invertire la direzione? Forse sì, anche perché il principio di speranza che, ancora una volta profeticamente, papa Francesco ha introdotto nel cuore dell’anno giubilare, dovrebbe sempre illuminare la nostra visione oltre il breve termine, e purché si sia consapevoli, come ha ricordato il presidente Mattarella nel suo importante e coraggioso “discorso di Marsiglia”, che la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali resta il perno di ogni soluzione pacifica di controversie. Sapendo, infine, quanto le magistrature siano importanti a questo scopo, e dunque salvaguardandone il ruolo.
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: