venerdì 22 luglio 2016
Erano otto tendine rosse, ognuna a due posti, piantate nel giardino del convento. Piccoli igloo, come quelli che ci portiamo dietro quando andiamo in campeggio, la prima volta da ragazzi, sacco a pelo e zaino in spalla. Poi, accanto, c'erano parcheggiate due vecchie automobili, ripiene come un arrosto, tutto quello che poteva servire per affrontare l'emergenza terremoto. Era la loro nuova casa, il loro tetto sicuro, la camera da letto, anche nelle due auto c'era chi ci dormiva. Sotto un albero era sistemato un angolo cottura, mentre per la preghiera bastava guardare negli occhi degli anziani o delle mamme che andavano a mendicare per fame, delle bambine di strada malate di Aids e Tbc, che non avevano più il tetto del dormitorio, crollato, o dei bambini – una consuetudine – "dimessi" dagli ospedali perché dovevano morire, comunque. Perché non c'erano i soldi per curarli e il referto era solo uno: «Dimesso per il cimitero».Era trascorso un mese dal violento terremoto del settimo grado della scala Richter che il 12 gennaio 2010, in un minuto, aveva distrutto Port-au-Prince, sconvolto la vita a 3 milioni di haitiani, spazzando via oltre 230mila vite umane. Una iattura che andava a intossicare la già sofferta esistenza di un popolo soggiogato da una quotidianità impastata di violenza, corruzione e soprusi, estrema povertà.La terra continuava a tremare, anche il giorno che suor Anna ci accolse nella disastrata missione-campeggio delle suore salesiane delle Figlie di Maria, che, letteralmente, galleggiava dentro un mare di detriti e necessità umane, nel quartiere di Cité militaire. «Solo da noi, tra questi qui, quelli laggiù dove c'è la parrocchia, nei due cortili alle spalle della nostra casa danneggiata, abbiamo sistemato nelle tende 1.400 famiglie. Moltiplichi per otto, ma anche per dieci componenti, e capirà quale è la nostra emergenza», ci disse la suora friulana, originaria di Belgrado di Varmo, Udine.Suor Anna D'Angela, ad Haiti ci viveva dal 1955; è stata insegnante, mamma, nonna, ha realizzato progetti per l'infanzia sola, abbandonata, e garantito centinaia di adozioni. Come quella di quel bambino orfano, dimesso da un ospedale perché «malato e destinato a morire», e che oggi, invece, uomo adulto, laureato in economia e commercio, vive a Milano.Suor Anna, «l'angelo di Haiti», alla fine dello scorso mese di giungo è stata chiamata alla Casa del Padre. Tre giorni fa, il 19 luglio, avrebbe compiuto 82 anni. Quella volta che la incontrammo ci disse, in punta di piedi: «La mia coscienza mi dice che ho il dovere di rimanere su quest'isola, ma ci sono giorni che mi sveglio con la voglia di andare via da qui, per sempre. In questi dirigenti non vedo una volontà rivolta per il bene del loro popolo. Un popolo bambino, soggiogato da capi che hanno studiato nelle prestigiose università del Messico, degli Stati Uniti, della Spagna, finanche a Roma. E che qui comandano con le pistole e il bastone. Perché l'unico ideale che hanno è arricchirsi, abbandonando gli altri al loro destino».Haiti è scomparsa dalle pagine dei nostri quotidiani, almeno fino al prossimo terremoto o ricorrenza, ma suor Anna è rimasta ad Haiti, fino all'ultimo suo giorno di vita e a Port-au-Prince oggi è sepolta. Suor Anna non c'è più, ma la sua opera continua, e non può fermarsi, anche grazie all'impegno di tanti sconosciuti genitori adottivi, ai volontari dell'associazione "Pane condiviso Onlus" o degli amici della parrocchia "Dio Padre" a Milano2. Che, certo, ora si sentiranno un poco più soli, ma la volontà di continuare è forte. Come il carattere dimostrato da suor Anna, che voleva andare via, ma che è morta dove avrebbe voluto. Amando il prossimo.
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