Sulla metafora della clausura le suore in Rete parlano e giocano
mercoledì 22 aprile 2020
Il linguaggio giornalistico ha continuato ad attingere metafore dalla vita della Chiesa anche, o forse ancor più, dopo che le società occidentali si sono quasi completamente secolarizzate. Per descrivere la nostra prevalente condizione di distanziati sociali, pure l'attuale infodemia da Coronavirus ha una metafora religiosa prediletta: «clausura», che serve da alternativa alle giudiziarie «reclusione» e «confino» e alle sanitarie «isolamento» e «quarantena». Forse per questo, accanto alle notizie drammatiche di comunità religiose femminili colpite dall'epidemia (più quelle di vita attiva che quelle di vita contemplativa), resiste in Rete da una settimana su piccoli e grandi siti, specie sportivi, un video ( bit.ly/2KpvuNz ) dalla clausura. Protagoniste le monache agostiniane del convento di San Leandro, a Siviglia, che giocano a basket nel chiostro durante una pausa dalla preghiera e dal lavoro manuale (hanno rapidamente convertito la loro produzione di dolcetti, molto richiesti dai turisti, in mascherine). Ma l'analogia tra clausura e distanziamento sociale è debole: lo ribadisce, insieme a tante altre sue consorelle, suor Isabella, del convento delle clarisse di Fanano (Modena), che ha risposto a nome della comunità ad alcune domande di Paolo Tomassone per Re-blog ( bit.ly/2zkgxu6 ). «Si tratta di clausure diverse. La nostra è una scelta, non una forzatura» dettata da direttive esterne, per quanto «giustissime». Inoltre «noi possiamo permetterci degli spazi molto più grandi di un appartamento». Ciò non toglie che le monache possano insegnarci a valorizzare la nostra clausura forzata: «Potrebbe essere un momento per curare il rapporto col Signore» e «recuperare le relazioni e i legami familiari», dice suor Isabella. Che ha anche fiducia nelle «lezioni» che questa crisi ci sta impartendo: «Riflettere su ciò che conta realmente nella vita» e «trasformarci in persone più umili, più sobrie e più compassionevoli verso il prossimo».
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