«Lì c'è un tentativo di mettere al centro dell'agenda papale cose secondarie». Quel "lì" indica le congregazioni dei Cardinali. È un ampio e inappropriato commento di Alberto Melloni, studioso di storia della Chiesa, agli incontri che preludono all'elezione del nuovo Papa (Corriere della sera, venerdì 8). Scrive lo storico: «Dietro a quella votazione» (da cui sono usciti grandi e santi pontefici) «si nascondono nodi di sostanza e di potere». Nient'altro? Melloni non parla del «potere delle chiavi» conferito da Gesù a Pietro, bensì di «un potere allo stato puro dove fra ciò che si dice, ciò che si pensa e ciò che si vuole, ci sono connessioni contorte, bizantine, a volte perverse»: neanche se si trattasse di un incontro tra Bersani, Berlusconi, Monti e Grillo. C'è anche altro: «Chi ha fretta e soprattutto chi vuole un'agenda semplice per far Papa una specie di Netturbino I° dedito alla sporcizia della Chiesa anziché al Vangelo… La Curia che vive da sempre di carriere e di cordate…». Il commento, inatteso perché da uno storico della Chiesa si spererebbero pensieri più seri, non è molto diverso da quelli del Fatto quotidiano (giovedì 7): «Il bavaglio del Vaticano ai cardinali americani». O di Libero: «Don Gallo vuole un Papa gay». O di Repubblica: «Scontro tra Curia e cardinali Usa. Bertone impone il silenzio stampa». O del Manifesto (venerdì 8): «L'adorazione della sede vacante… Il problema centrale è proprio quello della pubblicità… Le scene di questi giorni hanno confermato che il denaro domina anche gli ambienti legati alle nomine pontificie. Così piazza San Pietro piena di fedeli in attesa» che «celebrano la sede vacante» (?). Nel medesimo stile poco da Corriere della sera, è anche un paginone di Sette, il supplemento del venerdì: «Tra alleanze e duelli, i cardinali giocano la partita del Conclave». In questa cornice non poteva mancare, su Repubblica, il commento teologico di Vito Mancuso, che infatti era comparso lunedì 4. C'è dentro di tutto: il «cosmo» e i «canoni estetici», «la rivoluzione astronomica di Copernico», la «Belle époque», le «due guerre mondiali» e «l'autodeterminazione della coscienza». Conclusione: «Non penso che ci possa essere nessuno oggi che, di fronte a uno scenario così, possa ritenersi in possesso della verità. E tuttavia il papa, per statuto, lo deve fare. Ecco la trappola». In tutto ciò non si trova un po' di logica e nessuna parola di fede. Allora, a parte il Vangelo (Gesù a Pietro: «E tu conferma i tuoi fratelli» - Lc 22,32) e la storia della Chiesa (in quasi 143 anni dalla proclamazione nel 1970, il dogma dell'infallibilità è stato usato una sola volta da Pio XII per l'Assunta), tra «partita» e «trappola» non resta che scegliere il pregiudizio. PAPA CORAGGIONon poteva mancare nemmeno Hans Kung, il quale spera (Repubblica, sabato 2) che dopo «la primavera araba» e per evitare «il pericolo che la Chiesa si riduca a una setta sempre più irrilevante», si apra una «primavera vaticana», anche se «la Chiesa cattolica assomiglia a una monarchia assoluta come l'Arabia Saudita». Poi auspica «una democrazia vera nella Chiesa», l'abolizione «del celibato per i preti e altri membri laici del clero» (!) e ripete le sue solite critiche al Papa, che giudica «medievale». Gli riconosce, però, un grande merito: «Nel 2005, in una delle sue poche iniziative audaci, ebbe per quattro ore un'amichevole conversazione con il sottoscritto».
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