Prima ancora di essere emanato e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, il decreto-legge sull'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale dei migranti è già oggetto di un vivace dibattito.
A essere discusse sono soprattutto la prevista soppressione dell'appello contro i provvedimenti del giudice di 1° grado e l'introduzione della facoltatività dell'audizione del richiedente protezione. Misure certamente adeguate ad accelerare tali procedimenti (esigenza indiscutibile, stante il numero dei medesimi e la scarsità di risorse di personale, magistrati e ausiliari), ma che si dubita costituiscano un buon bilanciamento tra garanzie difensive ed efficienza. Sul primo punto ricordo quanto disse tempo fa Giancarlo Caselli circa l'«ineguagliabile abbondanza italiana di gradi di giudizio»: un compiuto giudizio di 1° grado potrebbe a mio parere soddisfare tutte le esigenze, tra le quali anche quelle degli stessi richiedenti giustamente desiderosi di certezze sul proprio status. Ma, appunto: un compiuto giudizio di 1° grado, ed è opinabile che si possa definire tale un procedimento nel quale il giudice non senta direttamente il migrante. Per non parlare dei dubbi circa l'affidamento della decisione (problema acutissimo in queste ore) a un magistrato non professionale, ma onorario.
Meno dibattuta, ma ugualmente importante, la questione sull'obbligatorietà o meno di costituire una sezione specializzata. Essa tocca i fondamenti della buona organizzazione: deve prevalere un vestito uguale e rigido per tutte le situazioni oppure l'esigenza della specializzazione (e connessa formazione) deve fare i conti con i principi di flessibilità e di non esclusività? Problemi e domande non secondari, cui può rispondere positivamente soltanto il rafforzamento della già buona collaborazione tra le diverse istituzioni (ministeri, Csm). Che tale collaborazione e l'incoraggiamento di buone pratiche organizzative siano essenziali per il governo del fenomeno migratorio è del resto confermato dalla circostanza che ai prefetti (il cui ruolo è cruciale in questa materia) il decreto-legge chiede sia di favorire iniziative volte ad impiegare in attività di utilità sociale i richiedenti protezione, sia di promuovere «la diffusione delle buone prassi».
Per dirla con le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella (lo scorso giugno, al Centro Astalli di Roma, sede italiana del servizio dei Gesuiti per i rifugiati), di fronte al fenomeno migratorio vi sono due scelte: «Far finta che esso non esista, o affrontarlo con senso della realtà e di responsabilità». L'intervento del Governo costituisce un passo in questa direzione, frutto di una collaborazione tra le istituzioni: l'auspicio è che essa continui e si rafforzi.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: