Si torna a parlare – nel dibattito tra politici e intellettuali – di una tendenza verso il semipresidenzialismo che si starebbe sviluppando nel nostro sistema istituzionale a partire dall'esperienza dell'esecutivo Draghi. E viene evocata inevitabilmente l'icona di questa forma di governo, Charles de Gaulle, il generale-presidente fondatore della Quinta Repubblica francese, a cui è stato accostato (per analogie di ruolo effettivo o potenziale, non certo per similitudini personali) il nostro presidente del Consiglio. Il dibattito non è puramente teorico perché cade a pochi mesi dall'elezione del presidente della Repubblica e tra coloro che vorrebbero vedere Mario Draghi al Quirinale viene accreditata l'idea che dal Colle l'attuale capo del governo potrebbe continuare “di fatto” a gestire l'attuazione del Pnrr, l'impresa epocale a cui si sta dedicando in questi mesi e che in un certo senso è la mission dell'esecutivo da lui guidato.
Su questo terreno Draghi non ha mai prestato il fianco ai tentativi di tirarlo per la giacca. Con una lezione di stile e di correttezza istituzionale ha sistematicamente rispedito al mittente le ripetute domande dei giornalisti sulla sua possibile candidatura al Quirinale, in quanto sarebbe intempestivo e irrispettoso porre la questione in questo momento. Va da sé che Draghi avrebbe tutte le qualità per ricoprire l'alto incarico, ma non è certo su questo che qui ci si intende soffermare. Il tema è piuttosto la torsione in senso semipresidenzialista che si vorrebbe imprimere al nostro assetto istituzionale.
L'aspirazione a riforme costituzionali anche profonde – nei limiti e secondo i percorsi previsti dalla Carta – è assolutamente legittima e la stagione potrebbe essere persino propizia, data la circostanza eccezionale di una convergenza di larga parte del Parlamento nel sostegno al governo in carica. Purtroppo non sembra proprio che tra i partiti ci sia una volontà politica in questa direzione. Il taglio dei parlamentari è rimasto un monolite isolato.
La scorciatoia di una modifica “di fatto” non appare però convincente. Il sistema disegnato dalla Costituzione prevede ruoli ben distinti per il presidente della Repubblica e per il presidente del Consiglio dei ministri. Tra l'altro, se non andiamo errati, non è mai accaduto che un presidente del Consiglio passasse direttamente da questo incarico a quello di presidente della Repubblica. Non c'è alcun impedimento formale, beninteso, e vale la pena sottolinearlo perché di questa circostanza pur significativa non si faccia un uso strumentale. Del resto c'è sempre una prima volta, com'è accaduto con la rielezione del Capo dello Stato (Giorgio Napolitano) nel 2013.
L'importante è riflettere seriamente su tutte le implicazioni delle scelte che si andranno a compiere e soprattutto non utilizzare un passaggio così delicato per altri fini, magari meno ambiziosi sul piano istituzionale ma più immediati nelle conseguenze, come l'interruzione anticipata della legislatura.
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