«A me non è mai dispiaciuto essere spregiudicato. Spregiudicato vuol dire non mettere i paletti davanti al Dio che viene, all’avventura. A me è piaciuta sempre l’avventura, nel senso etimologico della parola: un qualcosa che viene e che quindi non c’era. A me piace andare verso ciò che viene, non rimanere fermo a ciò che c’era». Con quest’affermazione di don Oreste Benzi, sulle immagini di lui in mezzo a un gruppo di prostitute, si apre l’ottimo documentario di Kristian Gianfreda, Il pazzo di Dio, con il quale la Rai rende omaggio al centenario della nascita del sacerdote fondatore dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, nato nel 1925 a Sant’Andrea in Casale, una frazione del Comune di San Clemente, sulle prime colline dell’entroterra romagnolo a pochi chilometri da Rimini dove sarebbe morto nel 2007. Trasmesso da Rai 1 nella tarda serata di Capodanno e ora disponibile su RaiPlay, il documentario, che ha per sottotitolo La strada di don Oreste Benzi e alla cui scrittura hanno collaborato Giacomo Giubilini e Miriam Febei, offre un persuasivo ritratto del «prete dalla tonaca lisa» che grazie alla forza della fede, al coraggio, alla «santa testardaggine» (come la definisce il suo collaboratore don Aldo Bonaiuto) e all’incrollabile convinzione che ogni vita ha diritto a un’esistenza dignitosa, è riuscito a cambiare la storia di migliaia di persone (senzatetto, tossicodipendenti, malati di Aids, emarginati, popolazioni poverissime del terzo mondo) e a liberare giovani donne dalla schiavitù della prostituzione. Un’opera, quest’ultima, che il regista Gianfreda (qui al suo secondo lungometraggio dopo l’esordio nel 2019 con il film Solo cose belle) ha documentato seguendo passo passo don Benzi negli incontri con le ragazze di strada che con molta meraviglia, lo ammettano loro stesse nelle interviste successive, non si sentivano chiedere «Quanto costi?», ma «Quanto soffri?». Il documentario, che tra l’altro è prodotto dalla casa di produzione cinematografica indipendente “Coffee Time Film” di Rimini nella quale lavorano persone cresciute accanto a don Benzi, mette così insieme il presente e il passato in un unicum narrativo in cui si alternano la profondità e l’intimità delle parole del fondatore dell’Associazione Papa Giovanni XXIII grazie alle numerose interviste che ha rilasciato nel corso degli anni e alle partecipazioni televisive, ma anche grazie alla testimonianza di chi lo ha conosciuto e accompagnato nella sua vita a servizio degli altri. Nonostante tutto, per definire se stesso, in chiusura del documentario, racconta la storia del cane che gioisce quando incontra il padrone, gli salta addosso, gli si sdraia ai piedi, senza capire nulla di lui, dei suoi problemi, delle difficoltà che vive. Il cane avverte solo una relazione affettiva. «Ebbene, chi sono io?», si domanda don Benzi: «Quel cane accanto al mio Dio».
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