C'era dunque questa ferrovia da Calalzo a Cortina, percorsa da due soli treni al giorno, che negli anni 60 del Novecento i villeggianti percorrevano come una scorciatoia per andare in paese. Ho ancora stampate negli occhi le massicce traversine di legno crepato da decenni di gelo, e i grossi bulloni che le incatenavano fisse alla massicciata; e i sassi candidi che nei giorni del solleone scottavano se io, a quattro anni, per mano a mia madre li sfioravo con le dita.
Una mattina, dai sassi al nostro passare sbucò di colpo una vipera: fulminea, verde, la lingua biforcuta protesa a mordere.
«Una vipera!», gridò il mio fratello grande, e tutti saltammo via dai binari, spaventati. Era, in realtà, una vipera molto piccola, lunga pochi centimetri, giovanissima. Tuttavia, una vipera: e mio fratello prese a lanciarle sassi. Uno, due, tre sassi: la bestiola cercò di fuggire, poi si rovesciò esanime sul dorso. Io allora scoppiai a piangere: «Ma era piccola! Era una vipera bambina! Non dovevi!». E ce ne volle, per farmi smettere.
Piangere per una vipera - a quattro anni che cose strane si fanno. C'è spesso però, nei bambini molto piccoli, come una naturale tenerezza verso tutto il Creato, come un istintivo senso di fratellanza con tutto ciò che vive.
Un'orma addosso, scritta - che poi, col tempo, sbiadisce.
© Riproduzione riservata