sabato 6 giugno 2020

Maggio 1940. Nei giorni della battaglia di Dunkerque, il soldato semplice Harry Cole del reggimento Suffolk, esercito britannico, prende carta e penna: «Cari mamma e papà, spero che stiate bene. Finalmente posso scrivervi qualche riga, sperando che il tempo passi in fretta e che quando tutto questo sarà finito, potremo tornare a vivere in pace e tranquillità…». Mamma e papà però non ci sono più, e quelle parole non le hanno mai potute leggere. Anche il soldato semplice Harry Cole non c’è più. E non ha mai saputo che la sua lettera a Woodbrige, il villaggio dove viveva la sua famiglia, è regolarmente arrivata. Ma 80 anni dopo.

Non è stata colpa delle poste inglesi, ma del destino. Harry Cole morì in battaglia, colpito da un cecchino poche ore dopo aver imbustato il suo messaggio, senza essere riuscito a spedirlo. Quella lettera fu trovata da un ufficiale tedesco che la conservò con cura. Finita la guerra, rimase a lungo nella soffitta di una casa in Germania, insieme a molte altre di soldati britannici deceduti o dispersi. Nel 1968 venne consegnata all’ambasciata inglese di Bonn, iniziando un viaggio incredibile, fatto di notifiche, indirizzi sbagliati, rispedizioni al mittente. Poi, come spesso accade nella vita, solo il caso e l’impegno tenace di una donna sensibile hanno consentito che arrivasse un lieto fine.

Heidi Hughes, questo è il suo nome, fa l’archivista del Comune a Hasketon, un paese vicino a quello dove ancora oggi vive un fratello 87enne del soldato Cole: «Quando mi è capitata quella lettera tra le mani – ha raccontato la donna pochi giorni fa – non riuscivo a credere che potesse essere vera. Ho visto l’indirizzo, i nomi, ho immaginato l’emozione di chi avrebbe potuto riceverla anche dopo tanti anni. Era importantissimo trovare un parente che potesse aprirla, e l’ho consegnata di persona: è stato come chiudere le pagine di un libro di storia…».

In realtà, è stato molto di più. Perché la memoria, quasi sempre, è la cosa migliore che ci resta. I ricordi a volte sono istantanei, emergono verticali da passati lontanissimi. Altre volte devono trovare la loro strada tortuosa, lunghissima, per arrivare al traguardo. E l’inchiostro, in questi casi, è come il sangue: resta sulla carta e non si cancella, regala un senso, aiuta a conservare il pensiero per sempre.

Oggi le lettere non si usano più. Quasi non sappiamo più nemmeno scrivere a mano, ma non è diminuito il bisogno di comunicare. Lo facciamo di continuo, con i messaggi su Whatsapp, e i like su Facebook, o le faccine che esprimono i nostri stati d’animo. Durano poco, si perdono, non lasciano traccia. Invece spesso abbiamo bisogno di mettere in riga i pensieri, imprimere le emozioni su un foglio per guardarle meglio, per farci capire e per capirci. E allora scrivere una lettera ha ancora un senso. Più per noi che la scriviamo, forse, che per chi la riceverà.

Personalmente vorrei essere capace di farlo ancora, ma so che è una questione di coraggio mancato: vorrei saper scrivere ancora una lettera per riservarmi il tempo alla ricerca di un equilibrio tra ciò che vorrei dire e quello che riesco a pensare. E per provare il sottile piacere di immaginare l’emozione di chi la legge, sorprendendosi di avere tra le mani un oggetto antiquato e prezioso.

Ecco perché invidio il soldato Harry Cole e la storia incredibile delle sue righe che non si sono perse per strada. Fuori tempo, ma comunque in tempo perché qualcuno le leggesse, e potesse rileggerle per sempre. Un privilegio destinato a pochi.

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