Quel calendario di cui scrivevo ieri, con i giorni di semina e raccolto segnati, mi ha ricordato l'unica volta in cui ho cercato di avere un orto, nel 2005, in Monferrato.
Già lo zappare pochi metri quadri di terra spezzò la mia schiena di milanese. Sotto agli occhi curiosi dei bambini deposi le patate, e seminai insalate e pomodori. Ora si trattava di aspettare. I bambini ogni giorno esaminavano l'orto brullo, evidentemente dubbiosi.
Finalmente timidi germogli spuntarono dalla terra. Disposi un sistema di irrigazione automatico per quando eravamo a Milano, e naturalmente esclusi ogni prodotto chimico. Le piantine crescevano, ma non appena si formò qualcosa di simile a un piccolo pomodoro scoprii l'esistenza dei parassiti. Di notte, mentre i figli dormivano, sfogliavo sbalordita un manuale di orticoltura che mostrava quali e quante bestiacce - mai saputo - minacciano i raccolti.
Il nostro orto ci regalò qualche ortaggio rachitico, fino a che, d'estate, una grave siccità non ci costrinse a sospendere l'irrigazione. Pochi giorni, e ogni pianta bruciò sotto al sole.
Solo a fine settembre mi ricordai delle patate. Quelle, nascoste, umili, si erano salvate. Che occhi meravigliati avevano i bambini, mentre scavando le raccoglievamo (Chissà che gioia un tempo, ho pensato, trovare un po' di quel pane, nel buio della terra).
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