In una canzone conta di più la melodia o il testo? Domanda delle cento pistole, commenterebbe Dumas. Domanda senza una vera risposta. Domanda all’origine di connubi felici e furiosi litigi, lunghi 25 anni. Nei giorni scorsi due autori di testi – forse i più famosi – sono finiti in pagina. All’età di 92 anni è morto Franco Migliacci. Quando nel 1958 sul palco del teatro del Casinò di Sanremo Domenico Modugno spalanca le braccia come ali e canta: «Volare o o», e Migliacci ascolta le parole scritte da lui, forse sperano di vincere clamorosamente, ma nessuno può immaginare che in quel momento sta nascendo un «inno nazionale parallelo che si conosce in ogni dove», come scrive Matteo Cruccu sul “Corriere” (16/9); e «il nostro inno nazionale ufficioso» noto in tutto il mondo, come ribadisce Carlo Massarini sulla “Stampa” (16/9). «Come nacque “Volare” è ormai leggenda – scrive Cruccu – raccontata più volte da lui stesso: il paroliere, dopo una sbornia “cattiva”, in reazione a Modugno che gli aveva dato buca a un appuntamento, al risveglio rimase fulminato da due quadri di Chagall, “Il gallo rosso” e “Il pittore e la modella”, entrambi affondati nel blu». Migliacci fece la fortuna di tanti altri, da Morandi a Nada, dai Ricchi e poveri alla stessa Mina (“Tintarella di luna”), fino alle sigle dei cartoni giapponesi. E pazienza se Massarini la spiega diversamente: «La genesi di quella canzone, come la raccontava Migliacci era un’intuizione di una sera, mentre aspettava al Castello Sforzesco una ragazza che tardava». Modugno o una fanciulla? Entrambi siano lodati, per aver indirettamente ispirato Migliacci.
Altra storia di paroliere e cantante, ma non a lieto fine, è quella di Mogol (Giulio Rapetti) e Battisti, raccontata ancora da Massarini sulla “Stampa” (17/9), titolo: «Battisti. Le tre verità», per l’ennesima puntata fatta pure di avvocati e tribunali tra Mogol e Letizia Veronese, vedova di Lucio, morto 25 anni fa. Massarini termina con un appello: «Da fan di Battisti-prima-e-dopo, dico sommessamente al signor Rapetti: ma metterci una pietra sopra e voltare pagina no?». È l’invito anche di Veronese nel titolo del pezzo di Alessandro Gnocchi sul “Giornale” (17/9): «Mogol, lascia perdere Lucio Battisti». Dopo tante bellissime canzoni, certe stonature sono proprio dolorose.
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