“Squid game 2” una critica al capitalismo con scene crude
giovedì 2 gennaio 2025
C’era grande attesa per la seconda stagione di Squid game. Non poteva essere diversamente dopo il successo di pubblico della prima. Ma come spesso succede, soprattutto quando alla base c’è un’idea originale, sia pure discutibilmente originale, una volta passato l’effetto novità, la serie andrebbe reinventata. Squid game 2 ci prova, ma non ci riesce. Alla ripresa degli eventi narrati nella prima stagione vengono dedicati ben due dei sette nuovi episodi al momento interamente disponibili sulla piattaforma di Netflix. Il filo del racconto riprende da dove si era interrotto nella precedente stagione. Tre anni dopo aver vinto una cifra esagerata al «Gioco del calamaro» (lo Squid game appunto), il quarantenne sudcoreano Seong Gi-hun, ovvero il Giocatore 456, unico sopravvissuto, non parte per raggiungere il figlio negli Stati Uniti, ma decide di rientrare nel gioco con la missione di scoprire chi si nasconde dietro la maschera dell’enigmatico Front Man e di combattere dall’interno la terribile organizzazione che mette a repentaglio la vita di disperati indebitati con le banche e con gli strozzini attraverso una vera e propria lotta per la sopravvivenza in cui chi perde viene brutalmente ucciso. Per rimettere in moto il racconto, il creatore, scrittore, regista e produttore Hwang Dong-hyuk impiega i due rammentati episodi iniziali, che appaiono piuttosto noiosi e privi di reali colpi di scena, ad eccezione di un redivivo presunto morto. Solo con il terzo episodio si torna nella misteriosa isola controllata da inflessibili guardie armate, vestite in tuta rossa e maschera nera con su impresso un tondo, un quadrato o un triangolo in base al grado. E se le guardie sono spersonalizzate e identificate con segni geometrici, i partecipanti al gioco sono a loro volta spersonalizzati in numeri (nel caso specifico da 1 a 456), anche loro vestiti tutti uguali, che si muovono come automi in ambienti che sembrano delle gigantesche e coloratissime scatole di giochi d’infanzia in netta contrapposizione con la cupa violenza che si compie all’interno. Ma questa volta tra i giocatori ce n’è uno che conosce i meccanismi e potrebbe salvare se stesso e gli altri concorrenti, se non fosse che i giochi cambiano. Quello che invece non cambia è il binomio soldi e morte, ovvero la bramosia del denaro che spinge a giocarsi la vita. Torna così la critica alla società capitalistica che promuove un sistema competitivo che fa del denaro la misura della libertà e della felicità e che acuisce le disuguaglianze. Purtroppo, però, anche questa seconda stagione di Squid game punta molto sulla violenza gratuita, su scene crude e situazioni drammatiche, con il problema dei social network per cui certi contenuti, che in partenza riguardano il pubblico pur sempre limitato di una piattaforma on line a pagamento, vengono spezzettati e rilanciati a disposizione di tutti, soprattutto dei più giovani. © riproduzione riservata
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