Riprendiamo da dove ci eravamo lasciati la scorsa settimana, da quell’urlo di dolore che arriva dall’Iran, dalle sue giovani donne e dai suoi giovani uomini, molto spesso sportivi, che stanno conducendo un’azione di grande ispirazione. Speranza e ispirazione per loro stessi e anche per noi che, parafrasando Primo Levi, abitiamo nelle nostre «tiepide case», dove troviamo «cibo caldo e visi amici». Il merito che dobbiamo rendere al coraggio di queste ragazze e di questi ragazzi non sarà mai sufficiente. E poco cambia che si tratti di Iran, Afghanistan o di tanti altri pezzi di mondo che versano in condizioni di libertà ridotta, diritti civili e umani azzerati o che sono teatri di guerra. Loro, quei ragazzi, sono lì che lottano come possono e quanto possono, con ciò che hanno a disposizione: chi più, chi meno, chi niente. Lottano per sé stessi, per il proprio Paese, per la propria libertà, ma in realtà lo fanno anche per noi e per rendere un po’ migliore questo pianeta.
Nel drammatico scenario iraniano, che al momento non registra alcuna apertura al dialogo, ogni piccola azione diventa degna di nota, come l’iniziativa, qualche giorno fa, di Payam Niazmand, portiere di riserva della squadra nazionale di calcio che ha deciso di donare i 9.000 euro dei suoi bonus per la partecipazione ai campionati mondiali in Qatar, per salvare venti compatrioti (diciotto uomini e due donne) incarcerati nelle prigioni della provincia di Isfahan, condannati a tre anni di detenzione e impossibilitati a saldare gli importi necessari alla scarcerazione, perché in condizione di povertà.
Sembra una goccia in un mare sempre più in tempesta e sui cui marosi è quasi impossibile fare previsioni, ma se in Iran serve un coraggio da leoni per sfidare il regime, in Francia basta sentire buon senso e compassione per prendere una posizione netta e densa di umanità, come quella dei giocatori del Caen, club di Ligue 2 (la serie B transalpina) che nella giornata dello scorso sabato avrebbero dovuto affrontare il Sochaux nel match valido per la diciannovesima giornata di campionato. Tre giorni prima, tuttavia, arriva la notizia della morte di Armelle Moulin, moglie dell’allenatore del club, Stéphane. Una terribile notizia che scuote nel profondo i calciatori del Caen i quali, per poter presenziare al funerale, chiedono, insieme alla propria società il rinvio della partita con il Socheaux, in calendario proprio quello stesso giorno, sabato. Nonostante il parere favorevole della società che detiene i diritti televisivi per l’incontro, si contrappone un’incomprensibile posizione del Sochaux, fermamente contrario sia al rinvio sia a un anticipo. Posti di fronte a un muro di disumanità, dirigenti e giocatori del Caen risolvono d’impeto la situazione. Scavalcano quel muro con un comunicato ufficiale, annunciando che sarebbero andati a ogni costo ai funerali, rinunciando a giocare la partita. Solo a quel punto, di fronte a una situazione che sarebbe stata a dir poco imbarazzante se si fosse risolta con una vittoria a tavolino, il Sochaux accetta il rinvio e la partita si giocherà dopodomani.
Due storie profondamente diverse che ci ricordano, tanto in Iran quanto in Francia, che ciò che conta è agire, prendere posizione nei fatti, non solo nella testimonianza. E che lo sport ha un dono: rendere evidenti certe manifestazioni della realtà che, senza quel filtro, non coglieremmo nel modo opportuno.
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