I sapienti sono come spighe di grano: finché sono vuote si alzano diritte e fiere; ma appena sono colme di chicchi, cominciano ad abbassare la testa.
Alle prime ore del 7 marzo 1274 Tommaso d'Aquino, appena cinquantenne, moriva nell'abbazia cistercense di Fossanova nel Lazio. Poiché questa data cade nel periodo quaresimale quando non si fanno memorie di santi, la celebrazione liturgica di questo grande santo e pensatore è stata collocata nell'odierna giornata. A Tommaso riserviamo, allora, questo pensiero tratto dai Saggi dello scrittore moralista francese Michel de Montaigne (1533-1592). L'immagine adottata è molto efficace ed è desunta dalla campagna, attraverso uno sguardo veloce e immediato. Le spighe vuote e leggere si levano in alto, ondeggiano festose sopra la distesa delle spighe colme di chicchi che invece si piegano e si nascondono.
La parabola è limpida: chi continua a segnalarsi, a stare sulla cresta dell'onda, ad amare la visibilità, il primo piano, la notorietà è spesso fatuo e vacuo. Basti solo pensare ai personaggi televisivi, quei "famosi" che svettano dappertutto ma che per fortuna sono destinati ad essiccarsi senza lasciare traccia. Il sapiente ama la riflessione pacata, la quiete, il silenzio e l'umile nascondimento, convinto com'è che il seme della saggezza è destinato a durare attraverso la sua fecondità, generando dopo di sé altra vita. Ai nostri giorni, ritmati dalla legge dell'apparire, questo atteggiamento di serietà può essere anche perdente. Ma è la storia a esaltarlo ed è la coscienza a giustificarlo. Cantava il poeta Eliot nei suoi Quattro quartetti: «L'unica saggezza che possiamo sperare di acquistare/ è la saggezza dell'umiltà».
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