Ci voleva Walter Sabatini per portare Spalletti all'Inter e non perché le qualità del signor Luciano fossero sconosciute. Ci voleva uno esperto di Romanità, perdippiù un fuoriuscito, per spiegare ai cinesi di Suning che quel tecnico oggetto degli strali – peggio ancora dei silenzi – di Francesco Totti e dei media capitolini era l'uomo giusto per rilanciare la Beneamata. Le ultime settimane romane di Spalletti erano state un incubo e lui – noto ipersensibile – soffriva soprattutto per i tradimenti subiti; con quale spirito poteva prendere l'eredità di un'Inter guidata da una mezza dozzina di allenatori di buon nome eppur naufragata al punto di svalutare anche il pretenzioso parco giocatori? Si presentò subito male, almeno agli occhi dei tifosi imbufaliti, quando non annunciò pretese di supermercato e anzi promise di far bene con quel che aveva. Le squadre – ahinoi – non nascono sui giornali, né in tivù ma dalle mani di professionisti in genere pagatissimi proprio per saper valorizzare il capitale giocatori. Mi fidai subito di Spalletti e lo chiamai Valore Aggiunto, un soprannome prosaico, pratico come sa esser lui, pur capace di voli pindarici quando l'aria (dello spogliatoio) è buona. Quando arrivò a Roma la prima volta mi parve armato di cultura olandese, e mi piacque; non piacque a lui, il riferimento, perché sapeva che un gioco così bello – spesso accademico – non sarebbe scampato alla fame di scudetti dei tifosi giallorossi che non amarono Capello ma capirono che i trofei si conquistano lavorando e soffrendo. Spalletti ha sofferto e lavorato e quando gli hanno detto «Milano, Inter« ha pensato: «Lì si può lavorare», come se Mazzarri, Mancini, Pioli non ci avessero provato. Ha avuto dalla sua una fortuna: arrivare al soglio della Beneamata quando i critici cortigiani erano scappati e il popolo era infuriato. Sapete cosa dicono, i tifosi più... sindacalizzati ai loro pedatori illustri e meschini? «Andate a lavorare!», che non è carino ma funziona. Oggi guardi l'Inter, vedi che l'approccio alla partita non è mai facile, deve caricarsi, tirar fuori tutto quello che settimanalmente macina in allenamento e nelle sedute tecniche; poi s'illumina, s'incattivisce, prega in Handanovic ma scatena Candreva, Brozovic e Icardi, il Triangolo delle Bermude per gli avversari; e vince, promettendo di vincere ancora. La vedo rivale specialissima del Napoli. Un bel duello fra panchinari toscani. Ma Spalletti non cercherà mai il Bello assoluto di Sarri. Lui ha bisogno di vincere. Come gli ha detto Sabatini.
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