Nei primi mesi del 1994, che l'Onu aveva proclamato "Anno internazionale della famiglia", iniziò a circolare un documento in preparazione della Conferenza del Cairo su "Popolazione e sviluppo" che avrebbe dovuto costituire la base del documento finale della Conferenza stessa.
A scriverlo era stata un'organizzazione nordamericana per il controllo delle nascite, che l'aveva poi girata alla commissione preparatoria dell'assemblea, dalla quale era stata recepita in toto. Il documento prevedeva massicce distribuzioni in tutto il mondo di anticoncezionali, martellanti campagne abortive e, soprattutto, centinaia di milioni di sterilizzazioni.
Fu solo il deciso intervento di Giovanni Paolo II, che denunciò con forza «il rischio che l'Anno della famiglia diventi un anno contro la famiglia», a scongiurare che quel piano sciagurato andasse in porto. Il progetto era figlio di quella corrente di pensiero che vedeva, e tuttora vede, la crescita della popolazione come la maggiore minaccia per la Terra. In realtà è vero il contrario. Proprio in quel 1994 un'agenzia demoscopica statunitense dimostrò che i cinque miliardi e mezzo di persone che, all'epoca, abitavano la terra, avrebbero potuto essere ospitate in comode villette a schiera occupando un'area vasta come il Texas. Oggi siamo due miliardi in più, quindi occuperemo un po' più di superficie, ma, insomma, di spazio ce n'è. Lo stesso dicasi per il cibo e le risorse naturali, che non sono infinite ma andrebbero impiegate diversamente e soprattutto non sprecate.
Certo, il mondo sviluppato dovrebbe rinunciare a qualcosa, a una parte del proprio benessere, al superfluo. Ma il punto è proprio qui. È l'economia dei Paesi sviluppati ad avere paura della crescita della popolazione, perché farebbe contrarre i consumi. Così non solo non si fanno più figli, ma si vorrebbe che non ne facessero neppure gli altri. Di qui la guerra per lo smantellamento della famiglia, e di qui anche l'invecchiamento della popolazione, che secondo i demografi, tra cinquant'anni, provocherà l'inizio di un'irreversibile diminuzione dell'umanità. L'Italia, purtroppo, in questo trend è all'avanguardia.
Dire allora, come ha fatto Papa Francesco otto giorni fa agli Stati Generali della Natalità, che «senza natalità non c'è futuro, se la famiglia riparte, riparte tutto», non è una posizione confessionale, è un dato antropologico. E allora «perché il futuro sia buono, occorre dunque prendersi cura delle famiglie, in particolare di quelle giovani... I figli sono la speranza che fa rinascere un popolo». Perché la vita è un dono, e per uscire «dall'inverno demografico» e per riscoprire «il primato del dono, codice sorgente del vivere comune» è necessario «ritrovare il coraggio di donare, il coraggio di scegliere la vita».
Perché come, giustamente, bisogna orientarsi verso uno sviluppo tecnologicamente ed economicamente sostenibile, è anche necessario orientarsi verso una «sostenibilità generazionale. Non saremo in grado di alimentare la produzione e di custodire l'ambiente se non saremo attenti alle famiglie e ai figli. La crescita sostenibile passa da qui. La storia lo insegna». E infine «la sostenibilità ha bisogno di un'anima e quest'anima è la solidarietà, una solidarietà strutturale», per la quale «sono indispensabili una politica, un'economia, un'informazione e una cultura che promuovano coraggiosamente la natalità». È qui che si gioca il futuro.
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