Con un'introduzione di Paolo Mauri ispirata a un prezioso buon senso, in cui opportunamente si discute della dubbia attualità di alcune tesi di Walter Benjamin sul potenziale liberatorio della riproducibilità tecnica, la Elliot pubblica tre testi del grande critico tedesco sotto il titolo La mia biblioteca (pp. 56, euro 7,50).Il primo testo, «Disfo la mia biblioteca», è un discorso sul collezionismo e mette in scena l'autore alle prese con un faticosissimo trasloco dei suoi libri, che gli offre lo spunto per una meditazione sul possesso di libri e di oggetti in generale, tema a lui molto caro. Il secondo testo è una riflessione sul leggere romanzi, sul romanzo come oggetto dotato di specifiche attrattive e sulla distinzione fra romanzieri e narratori, in particolare tra Flaubert e gli inglesi, da Dickens a Kipling. L'ultimo saggio è intitolato «Come si spiega un grande successo commerciale?» e si occupa di un popolarissimo libro svizzero sulle erbe mediche.La lettura di Benjamin è sempre affascinante. Se a volte ci si chiede che cosa esattamente voglia dire o a che cosa alluda, in compenso si trovano nei suoi saggi, qua e là e dove meno era previsto, aforismi e illuminazioni prospettiche che viene subito voglia di tenere a mente e rimuginare.Scrive per esempio che fra i momenti più felici del collezionista va annoverato quello «in cui è andato in soccorso a un libro al quale forse non aveva mai pensato in vita sua (...) soltanto perché se ne stava li abbandonato, alla mercè del mercato, e lo comprò come fece il principe con una bella schiava nelle Mille e una notte, per donarle la libertà». Il collezionista si appropria dei libri per liberarli dal maleficio del caos e della disattenzione.Nel breve scritto sul bestseller di un erborista e botanico, interessanti sono diverse cose. Anzitutto le severe battute in apertura sulla critica letteraria legata alle novità librarie, in cui la rapidità dell'avvicendamento domina al punto che l'informazione non riesce a diventare conoscenza.Ma il Benjamin ironicamente populista, conservatore (quale davvero era) e nello stesso tempo rivoluzionario, emerge quando cita il suo botanico svizzero: «Oh beata classe contadina, il tuo più grande letamaio puzza molto meno dell'arroganza delle persone colte. Non a caso il Signore Dio ha voluto venire al mondo in una stalla». Ai critici, aggiunge Benjamin, «i cui denti sono diventati traballanti dopo tanta pappa di romanzi», farebbe bene leggere ogni tanto i calendari e gli almanacchi dei contadini.
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