Un programma in diretta che debutta in questi giorni di pandemia è già di per sé una notizia e come tale va accolta con favore, anche perché da settimane di notizie ne circola una soltanto. Se poi il programma in questione, sia pure ispirato a ben noti format americani, è uno dei più originali e vivaci saltati fuori negli ultimi tempi, non si può che gioire condividendo anche lo spirito con cui gli autori hanno deciso di tornare in onda: «Alleviare il più possibile l’umore di chi sta a casa e non alimentare angoscia e paura». Parliamo di Epcc, che per esteso sarebbe E poi c’è Cattelan, talk–show di Sky Uno condotto da Alessandro Cattelan, il martedì in prima serata, dal Teatro di via Belli a Milano. Il palco e la sala non sono proprio deserti: c’è la band degli Street Clerks con i componenti a distanziamento sociale; c’è un ospite per volta senza alterazioni febbrili e qualche autore nei paraggi della platea tra cui Marco Villa che sta a Cattelan come Andrea Zalone sta a Crozza. Ma Cattelan ha un ritmo tale da autosostenersi anche senza pubblico. In ogni caso Epcc versione emergenza Coronavirus ha pensato bene di collegarsi via internet ogni volta con un gruppo di liceali in attesa di non si sa quale esame di maturità. All’esordio sono apparse come in grande puzzle le facce dei ragazzi del Liceo Parini di Milano. Poi è toccato agli studenti del Cornelio Tacito di Roma in una puntata, la seconda, che si è aperta con un notevole brano del cantautore statunitense Michael Stipe (No time for like now) montato per la circostanza con immagini di una Milano deserta. In collegamento dalla Georgia, Stipe ha spiegato di aver scritto il brano e di averlo inciso ben prima del Covid–19 a cui però sembra adattarsi perfettamente. L’intervista è stata il colpo di una serata che ha visto anche un simpatico collegamento in videocall con il duo dei Sottotono rivelatosi poi fasullo. I due musicisti erano in studio con un bel pannello dietro le spalle. Una trovata degna di Epcc insomma. Infine, un solo appunto: Cattelan ha un po’ forzato la mano quando a proposito dei giornali ha detto che «leggere solo il titolo è un suicidio intellettuale». Forse doveva precisare che ci sono titoli e titoli, giornali e giornali.
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