MarcoVoleri
Adele non sopporta il disordine. Sua figlia Lucia, quattro anni, semina quasi ogni giorno per casa bambole, libri, palle colorate e molti altri giochi. La mamma decide allora di ingegnarsi per trovare una soluzione al disordine: colora insieme a lei scaffali di legno dove riporre i peluches, compra una cassapanca-contenitore in legno tutta rosa dove sistemare le bambole della bimba. E ancora, si procura alcuni cestini di plastica, dove mettere le costruzioni colorate che ad Adele piacciono molto.
Ma la situazione non cambia: una sera, tornata a casa dal lavoro, Lucia trova molti giochi sparsi per la casa. La mattina seguente, sfiancata dal dover raccogliere cose per terra, decide di proporre un bel gioco alla bambina: chi mette a posto per primo dieci giocattoli vince un bel giro sulle giostre. Chi ha vinto secondo voi? Dopo qualche decina di minuti la cameretta di Lucia era magicamente ordinata.
Nella vita di tutti i giorni ci capitano spesso momenti e situazioni noiose, se non proprio sgradevoli. Quando poi si sommano caparbiamente – come si fossero accordate tra loro –, le nostre giornate diventano pesanti, a volte quasi insopportabili. Proprio come entrare in una stanza piena di giochi, dove letteralmente non si riesce a camminare per aprire la finestra e respirare un po' di aria fresca. Quante volte mettiamo le cose scomode della nostra vita da una parte, accatastate, dicendoci "prima o poi le metto a posto"? È un po' come un'equazione: se non semplifichi, man mano che vai avanti con l'esercizio ti ritrovi la riga di sotto piena di numeri sgraziati e, in fondo, numeri enormi e irrisolvibili.
Mettersi in gioco è dunque competere con se stessi. Comporta un rischio, come tutti i giochi: quello di perdere. Ma, mentre nella semantica della guerra – ad esempio – il rischio indica pericolo, in quella del gioco può assumere il senso di una opportunità. In questo senso, giocare ci aiuta a guarire da piccoli malesseri accatastati in qualche stanza del nostro cuore.
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