Sembra prossimo a concludersi, con un progetto di legge, il lungo confronto tra Governo e Associazione nazionale dei Comuni italiani in tema di sicurezza urbana. Notizia buona, perché a ciascuno può capitare di sentirsi insicuro in spazi pubblici, il che, aggiunto all'insicurezza negli spazi privati, collegata alla percezione dell'aumento di furti e rapine nelle abitazioni, comporta un peggioramento della qualità della vita quotidiana. Nel progetto, per «sicurezza urbana» si intende «un bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città». Ora, la vivibilità allude a una condizione di benessere non soltanto del singolo, ma comprensiva del bene della coesione e della solidarietà sociale; il decoro, secondo l'etimo latino, va inteso in senso non meramente estetico: l'endiadi vivibilità-decoro rinvia dunque a tutto ciò che conviene a una vita dignitosa, corretta e piena per tutti.Gli strumenti per conseguire l'obiettivo della sicurezza urbana allora non possono limitarsi alla mera rimozione dei sintomi del degrado, ma devono orientarsi anche alla prevenzione e al contrasto delle cause dei fenomeni degradanti. Ecco dunque un criterio per valutare una delle novità attese, il divieto d'accesso - modellato su un istituto, il cosiddetto Daspo, da tempo vigente in ambito sportivo - a determinati luoghi (stazioni, aeroporti, centri storici, ecc.) per chi ne leda il decoro e la libera accessibilità. Così configurato, il divieto sembra riferito a comportamenti, pur eterogenei (abuso di alcolici, uso di stupefacenti, accattonaggio, commercio abusivo, violazione dei divieti di stazionamento in taluni luoghi) e a persone (tossicodipendenti, senzatetto, questuanti, ambulanti e parcheggiatori abusivi), tutti emblematici di un disagio sociale visibile e palpabile.Mi chiedo (al di là dei profili, che pure esistono, di valutazione sulla compatibilità costituzionale di alcune fra le misure previste) se lo spostamento di tali comportamenti e persone verso le periferie - geografiche, e talvolta anche esistenziali - realizzi davvero quelle finalità di prevenzione, oppure se non sia necessario accompagnare tali misure con interventi sociali e socio-sanitari, cioè con risposte di assistenza e solidarietà personalizzate. Alla fine, anche qui si pone un problema di giustizia: nel dare a ciascuno il suo, non si può trascurare l'esigenza della pari dignità sociale di tutte le persone alle quali fanno capo diritti inviolabili e doveri inderogabili (secondo una lettura intrecciata dell'art. 3, comma 1 e dell'art. 2 della nostra Costituzione).
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