domenica 29 maggio 2016
La catena di montaggio viene inventata a Detroit nel 1913 – lo stesso anno in cui Proust pubblica il primo volume de La Recherche du temps perdu. L'anno prima, Henry Ford produceva 80 auto modello T. Adesso può produrne una al minuto. E tuttavia questo non giunge ancora al livello della sua fonte di ispirazione. Ford lo rievoca nelle sue memorie: «L'idea generale [della catena di montaggio] fu tratta dal nastro trasportatore dei fabbricanti di conserva di Chicago». L'espressione è eufemistica: Ford fa riferimento ai macelli. A quell'epoca Chicago era soprannominata «Porcopolis». Vi si trattava un maiale intero ogni 5 secondi, un bue ogni 8 e un montone ogni 14. Se buoi e montoni erano principalmente trasportati da vagoni frigoriferi nella forma di carcasse di carne fresca, il maiale veniva trasformato sul posto in prosciutti, salsicce, salumi di ogni genere, peli per spazzole, concime per la terra, rilegature per la Bibbia… Quando si chiedeva a Philip Armour, uno dei principi della città suina, quali parti del maiale sfruttassero le sue fabbriche, rispondeva con una fierezza tinta di umorismo macabro: Everything but the squeal, «Tutto tranne gli strilli»… L'assembly line ha dunque avuto per modello la disassembly line. La catena di montaggio è figlia della catena di smembramento. Ed è là, in quei macelli, che si opera la seconda rivoluzione industriale, quella che conduce alla produzione di massa e alla necessità di generare una massa capace di assorbirla. Il capitalismo conosce allora una metamorfosi che Marx non aveva previsto: il passaggio, tramite l'aumento degli stipendi, dallo sfruttamento del lavoro allo sfruttamento del lavoro e del tempo libero. Occorreva che il lavoratore avesse più denaro e tempo libero per trasformarsi in consumatore e acquistare i prodotti del sistema. Non era più un semplice ingranaggio: diventava un ingranaggio doppio, funzionando al tempo stesso per la fabbricazione e per lo smaltimento delle merci, per la produzione del maiale e per il suo consumo giornaliero. Nel settembre 1893 il romanziere Paul Bourget visita tutto il complesso Armour and Company, dagli Stock-Yards alle Packing Houses, soffermandosi specialmente nelle «officine-carneficina». Così scrive sul “New York Herald”: «L'operazione è di una rapidità così folgorante che si non si ha il tempo di sentirne l'atrocità. Non si ha il tempo di compiangere quelle bestie, non il tempo di stupirsi dell'allegria con la quale lo sgozzatore continua il suo spaventoso mestiere. […] L'organizzazione di questo lavoro – la sua precisione, la sua semplicità, la sua sequenza ininterrotta – ci fa dimenticare la ferocia, utile ma intollerabile, delle scene alle quali abbiamo assistito». Il risparmio di tempo nella divisione del lavoro produttivista è «non avere il tempo di compiangere». L'accelerazione delle cadenze – quella velocità di cui si vantano i provider di internet – proibisce la contemplazione e permette di scacciare un'atrocità con un'altra, di sublimarle tutt'e due nella fascinazione del dispositivo, di rendere sopportabile e perfino avvincente l'intollerabile. Per più di vent'anni, fino al 1930, Chicago è stata la capitale mondiale della macellazione e il laboratorio del capitalismo moderno. Grazie alla camera fredda, i maiali non devono più essere uccisi durante l'inverno per evitare che la loro carne si guasti. Grazie alla ferrovia, il trasporto è veloce e permanente. Si crea così un mercato quotidiano della carne, abbastanza centralizzato perché sia possibile speculare sul suo andamento. Ancor più sorprendente: gli uffici spuntano come escrescenze di questi macelli industriali. Le enormi quantità prodotte implicano lo sviluppo della logistica, della gestione, della segreteria, e la costruzione di grandi sedi sociali. Da Armour come da Swift, il suo concorrente, più di mille persone sono impiegate in questi posti detti «improduttivi», cosa che a quell'epoca è senza precedenti e senza equivalenti. I colletti bianchi sono stati tagliati nei rossi grembiuli dello sgozzamento meccanico. Resta il grido del maiale, di cui non si sa che fare. Sabato 1° maggio 1886 ottantamila operai dell'agro-alimentare manifestano a Chicago. Alle 22.30, in piazza Haymarket, la polizia intima alla folla di disperdersi. Una bomba esplode all'improvviso – attentato anarchico o provocazione dei padroni? Non si sa. I poliziotti sparano, 8 manifestanti sono fermati, uno si suicida, 4 sono impiccati per dare l'esempio. Di questi eventi drammatici si farà commemorazione ogni 1° maggio, e la ricorrenza si diffonderà in tutto il mondo. Anche la festa del lavoro è venuta da Porcopolis. Chicago è dunque – a più di un titolo – la fondatrice dell'era consumista. Jacques Damade lo sottolinea in un recente piccolo libro intitolato Macelli di Chicago: in quei luoghi il «mondo umano» passa da «tempo stagionale a un tempo calcolato» e soprattutto si permette che esseri viventi siano stritolati dalla macchina. Come nelle religioni arcaiche, occorre che il sangue la consacri. Perché questa catena è la nuova alleanza. Essa permette all'uomo di credersi più forte della morte, più veloce della natura, più produttivo di Dio, e può chiedergli in compenso di lasciarsi fare a pezzi tanto nel suo lavoro che nel suo riposo.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI