Siamo pervasi dal Kitsch ma non ce ne accorgiamo
venerdì 11 dicembre 2020
Nel densissimo articolo di Maurizio Cecchetti “Attenti al Kitsch, è dentro di noi”, che ho letto con la matita in mano, uscito su questo supplemento il 4 dicembre scorso, si torna a discutere un tema e un termine molto frequentati negli anni sessanta del Novecento. L’occasione dell’articolo era l’uscita di un numero monografico (oltre seicento pagine) della rivista “Riga” a cura di Marco Belpoliti e Gianfranco Marrone. Sintomatico e singolare è il fatto, annota Cecchetti, che nonostante siano stati chiamati a pronunciarsi ventisette intellettuali non si è arrivati a una conclusione e l’interrogativo resta aperto, anzi si biforca: che cos’è il Kitsch? Che cos’è Kitsch? Riprendo brevemente il discorso soprattutto perché Cecchetti, invece, una risposta paradossale la propone: «il Kitsch non esiste ma al tempo stesso è, più o meno, in tutti noi». Risposta che sorprende, inquieta, ma è anche diagnostica e che non esiterei a fare mia. Finché un’élite intellettuale è esistita distinguendo nettamente fra vera cultura e cultura di massa, la spazzatura artistica di pessimo gusto, detta in tedesco “Kitsch”, era altrettanto nettamente distinguibile. L’alta cultura sapeva riconoscerla e rifiutarla immediatamente. Poi le cose, dalla seconda metà del Novecento in poi, sono cambiate. L’intellettuale ha cominciato a sentirsi a disagio fino a vergognarsi di essere soltanto élite e non anche massa. Il crescente culto della comicità, il terrore di spaventare o annoiare il grande pubblico indifferenziato, l’industria dilagante dell’intrattenimento, la pubblicità onnipresente e martellante, il turismo, le mode, il dominio incontrastato dei bestseller sia volgari che snob, la pop art hanno sempre più compenetrato reciprocamente alto e basso. Benché l’ingiustizia economico–sociale sia perfino scandalosamente cresciuta, le classi sociali si sono culturalmente omologate, popolo e proletariato si sono sciolti in una nuova classe media di massa che si infatua amando le stesse cose. Anche i bronzi di Riace, anche Michelangelo e Leonardo, sono stati trattati e guardati come icone pop. I consumi culturali sono aumentati. I “beni culturali” sono materia da amministrare, consumare, turistizzare. Fra tv e nuovi media, tutti siamo quasi costretti a ingoiare dosi crescenti di “plastica” culturale che ristagna nei nostri cervelli come la vera plastica intasa lo stomaco dei pesci e li fa morire a migliaia. I più orrendi tatuaggi sono considerati esteticamente attraenti proprio perché cancellano il corpo umano. Gli stilisti sono considerati i custodi della bellezza qualunque cosa inventino. Tutte le forme della comunicazione sono sempre più enfatizzate, eccessive, innaturali, artificiose. E’ vero, il Kitsch non esiste perché è dovunque. E’ in noi. Potremmo non volerlo. Ma non ci viene più in mente. Troppa fatica!
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