Si può vivere in una democrazia senza rispetto verso i magistrati?
venerdì 21 marzo 2025
«Èdalla nostra volontà politica e non dalla congiunzione degli astri che dipende l’avvenire della democrazia in Italia», diceva sessant’anni fa Leopoldo Elia a un convegno promosso dalla Dc lombarda a Cadenabbia, in una relazione sui partiti politici che ha rappresentato un punto di riferimento per generazioni di studiosi e di persone impegnate nel servizio alla cosa pubblica. L’assunto è sempre attuale, e lo è ancora di più se lo riferiamo all’intera Unione europea, chiamata a tenere accesa per tutti la fiammella della democrazia coniugata alle libertà e allo Stato di diritto: oggi offuscata (transitoriamente?) negli Stati Uniti d’America, che pure ne sono stati un esempio e, sotto il profilo della giustizia costituzionale, un antesignano. Leggere, com’è accaduto in questi giorni, che secondo il ministro della giustizia degli Usa la funzione dei pm che da lui dipendono è quella di «difendere con vigore le politiche del presidente contro le contestazioni giuridiche» (!), non può non preoccupare. La “democrazia”, di cui talvolta si vantano autocrati o aspiranti tali, è intesa come mera democrazia elettorale, in senso dunque riduttivo: le elezioni periodiche non sono “la” democrazia, ma un pezzo di essa, importante e fragile al tempo stesso, esposto com’è a manipolazioni propagandistiche. Per contro, la democrazia della nostra Costituzione è “tutta” la democrazia, in cui la sovranità popolare si esercita, appunto, nelle forme e nei limiti della Costituzione, di cui lo Stato di diritto costituisce l’espressione di sintesi, risultato di un lungo processo storico contro le vessazioni e l’arroganza dei potenti. Già Alexis de Tocqueville aveva notato, quasi due secoli fa, che la democrazia in America non era soltanto una forma di Stato, ma un’esperienza di vita insieme, che includeva autogoverno locale e partecipazione individuale, senso della legalità e amore per la Costituzione, e nella quale le differenze culturali e politiche non diventavano polarizzazione radicale. Da tempo, purtroppo, non è più così (secondo Robert Putnam, già dagli anni ’60), e le conseguenze sui rapporti con la magistratura sono sotto gli occhi di tutti. Una decisione giudiziaria che dà torto al governante è bollata come politicizzata, e il magistrato che, in scienza e coscienza, la emette è additato come nemico del popolo: ciò implica, per un verso, un’idea di politica come proprietà esclusiva dell’eletto e, per altro verso, la pretesa di un’immunità che si colora inevitabilmente come privilegio. Anche nel nostro Paese rischiamo di ritrovarci in questa spirale: recuperare rispetto per una magistratura autonoma e indipendente dal potere politico è allora condizione indispensabile per una convivenza civile che non voglia ridursi al predominio del più forte sul più debole. In vista di un referendum costituzionale sulla giustizia che, in assenza di una volontà di dialogo in capo alle forze politiche e in particolare a quelle di maggioranza, sarà




























































































































































































































un momento di polarizzazione ideologica, è importante che i cittadini recuperino il giusto atteggiamento di rispetto e di fiducia verso il terzo potere, così “terribile tra gli uomini” (Montesquieu), ma anche così cruciale per i diritti e i doveri di tutti. © riproduzione riservata
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