È il decimo Avvento che, per conto di “Avvenire”, seguo da vicino sull’infosfera ecclesiale, e non ho bisogno di riandare agli appunti degli anni passati per constatare che il tempo forte che precede il Natale non smette di sollecitare le testate, i blogger e i profili sui social network cristianamente ispirati. Possiamo dire che mentre nella comunicazione in genere (web, radio-tv e stampa) il Natale e i sui simboli sono sempre più esposti alla secolarizzazione, l’Avvento resiste, concedendo al consumismo al massimo qualche cioccolatino estratto dalle finestrelle dei calendari. E resiste così bene da concedersi una splendida incursione in un ambito, quello del giornalismo sportivo, che non disdegna certo le frequentazioni del sacro (ne ho parlato qui molte altre volte), ma il più delle volte lo fa solo per elevare a idoli i propri campioni.
Autore dell’incursione è il biblista Ludwig Monti, che collabora stabilmente con “Il Tennis italiano” anche dopo il ritiro dell’atleta, Roger Federer, a motivo del quale questa collaborazione era nata. Poco prima di andare a Cellole a guidare un ritiro nella seconda domenica di Avvento, su “Marco, Vangelo di una vita” (i relativi video sono accessibili sul canale YouTube del monastero bit.ly/3uVL6mG), Monti ha firmato sul sito della rivista tennistica una riflessione (bit.ly/47VpJjW) che prende le mosse dalle vicende e dai pensieri di due grandi giocatori a fine carriera, Rafa Nadal e Fabio Fognini, per sporgersi fino a una meditazione spirituale. In questo tempo di Avvento in cui «i cristiani fanno memoria della fine del tempo, segnata dalla venuta nella gloria di Gesù Cristo», la domanda è: «Come affrontare la fine, ogni fine, ogni congedo che avviene nella nostra vita, fino all’ultimo?».
Citando Qohelet, Geremia e il Vangelo, il biblista ci insegna che compagna preziosa nell’affrontare ogni fine è «la grande arte della perseveranza, del tenere duro nelle ore difficili, portando sulle spalle i pesi della vita». Accettando anche «di lasciar andare, quando giunge l’ora». È l’«arte difficilissima» di spogliarsi e far restare «solo ciò che davvero vale, come una pianta potata per dare di nuovo frutti, a suo tempo». E sapendo che «è solo dall’angolo di visuale della fine che si capisce chi noi siamo».
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: