In Italia, dove visse per dodici anni dal 1923 al 1934 (decise poi di trasferirsi in Svizzera trovando il figlio che tornava a casa vestito da balilla) il pittore olandese Maurits Cornelis Escher perfezionò e approfondì il suo interesse figurativo per le leggi del visibile, leggi e confini che era per lui imperativo artistico voler oltrepassare. I colleghi pittori non lo capivano, lui si sentiva assai meglio compreso dai matematici.
A Roma visse nel quartiere di Monteverde, in un’elegante torretta nella quieta via Poerio (al civico 122, una lapide lo ricorda). L’orizzonte vasto di un paesaggio circolare era a portata di sguardo fuori dalle finestre di quella signorile abitazione, ma lui ossessivo ripiegava piuttosto su sé, e un sé guardato da fuori, un “fuori” quello anche personale. Risale agli anni romani Mano con sfera riflettente (autoritratto allo specchio), opera tra le più inquietanti, a cominciare dalla mano che tiene lo specchio e in quello si riflette, abnorme e verosimile. Lo sguardo, cupo e spettrale, è come presagisse la fuga per gli imminenti rovesci politici. Pare che in quella stessa dimora Escher disegnò un pavimento, poi staccato. Simbolo di esilio, quel suolo sfilato via da sotto i piedi. Esilio che è già nella distopia dell’opprimente convessità di uno specchio disegnato.
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