Non sempre, in questi anni, ho trovato l’infosfera ecclesiale sensibile all’anniversario della morte di “don Tonino” Bello, vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi. Ma ieri, sulla spinta della cifra tonda (è morto il 20 aprile di trent’anni fa), ho visto una bella concentrazione di post. Innanzitutto segnalo quelli dovuti a un’iniziativa annunciata ai lettori di “Avvenire” da Riccardo Maccioni (bit.ly/41oRdLD): «Parole vive - 24 ore con don Tonino». Mentre scrivo sono già 71 le videoletture di suoi testi “sine glossa” ricevute e pubblicate sulla pagina Facebook della Pro Civitate Christiana (la Cittadella di Assisi bit.ly/41Hvuyi ), e mancano ancora 8 ore alla conclusione. Ci si sono cimentati grandi e piccoli, personaggi pubblici e cristiani anonimi, donne e uomini, davanti a una libreria o da un giardino, o lasciando a don Tonino anche le immagini; perché l’idea è felice e meritevole di essere ripetuta per qualche altro anniversario, a dire che sui social ci sono anche delle “sfide” virtuose. Un’altra iniziativa sostenuta dalla Rete, particolarmente sui canali salentini, è partita per tempo (a Salve, il 26 febbraio) per poter approdare alla città natale di Alessano proprio in questi giorni (così la presenta il “Corriere Salentino” bit.ly/3LiR32R): si tratta de «L’Anello del Bello», un “cammino” circolare che, avendo come riferimento De Finibus Terrae, tocca «i luoghi che hanno formato la personalità e la spiritualità del venerabile don Tonino Bello», spiega il sito della diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca ( bit.ly/3mMSLQz ). Da ultimo segnalo il post pubblicato su “Vino Nuovo” da Lorenzo Pisani ( bit.ly/3MTLCZk ). È una lettera, scritta al vescovo “don Tonino” a nome dei «giovani di trent’anni fa» per i quali egli è stato «seminatore e pastore». La pervade il sentimento del tempo trascorso, nella vita di chi scrive come in quella della Chiesa e del mondo. Ma l’inevitabile esame di coscienza non infiacchisce lo spirito: noi «dobbiamo essere i forti, quelli che custodiscono non la memoria ma le speranze, apparentemente deboli, flebili, eppure invincibili, come la candelina sulla torta che, a dispetto del soffio, non si vuole spegnere. Noi siamo quelli che il cambiamento d’epoca devono attraversarlo. (...) Per questo ci servivano radici salde, e tu ce le hai date».
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